giovedì 3 giugno 2010

Intercettazioni: ora basta


di Gian Carlo Caselli

Nun te reggae più… Questo refrain anni ’70, di Rino Gaetano, dovrebbe diventare l’inno di tutte le persone sincere e oneste in tema di legge di riforma sulle intercettazioni.

Per favore, basta! C’è una gara a distogliere l’attenzione dalla sostanza vera delle cose, usando l’argomento della tutela della privacy (che pure è un problema) in maniera strumentale e distorcente, oppure procedendo a colpi di polemiche pretestuose e aggiustamenti minimi fatti apposta perché certe proteste diventino il ruggito di un coniglio.

Non se ne può più! Il problema vero non è la norma transitoria sulla quale oggi volentieri ci si scanna. Il problema vero non è la trasformazione del divieto di ogni notizia nella graziosa concessione di un’informazione per riassunto. Pannicelli caldi! La sostanza dei problemi è ben altra. Le intercettazioni, mezzo di ricerca della prova letteralmente insostituibile, devono essere (ribadisco: devono, sennò si deraglia) uno strumento agile, rapido e incisivo.

Altrimenti non servono a nulla. Esattamente quel che accadrà con la riforma che introduce per le intercettazioni una procedura barocca, complicata e castrante.

Procedura barocca è quella che prevede la competenza di un organo collegiale formato da tre giudici per autorizzare l’ascolto di certe chiacchiere mentre per mettere in galera una persona o condannarla all’ergastolo di giudice ne basta uno solo.

Procedura complicata è quella che prevede che il collegio di tre giudici sia competente per l’intiero distretto (in sostanza per tutti gli uffici giudiziari della regione) e che debba decidere non su di una semplice richiesta motivata del pm, ma sul fascicolo processuale ogni volta trasmesso per intiero, anche quando si tratta, come assai spesso accade, di decine di “faldoni”. Procedura complicata e pericolosa: perché paradossalmente qualche criminale potrebbe essere tentato di puntare non più sui furgoni che trasportano valori, ma su quelli che percorreranno avanti e indietro le strade di tutte le regioni italiane per trasportare i fascicoli di delicati processi.

Infine, procedura castrante: perché interrompere le intercettazioni dopo un massimo di 60 giorni (eccezionalmente 75) e vietare le ambientali quando si tratta di luoghi nei quali non è in corso l’attività criminosa (auto, bar, casa privata...) è semplicemente surreale ed equivale a svuotare le intercettazioni di ogni incisività, trasformandole in “gride” di manzoniana memoria. Dunque, la vera sostanza dei problemi (al di là di quel che può piacere o sembrare a certi commentatori, compresi alcuni avvocati prestati alla politica) è che la riforma in cantiere riduce in maniera pesantissima la possibilità di usare le intercettazioni.

Ciò significa impunità per fior di delinquenti, compresi assassini, rapinatori, sequestratori, estortori, stupratori, pedofili, sfruttatori di prostitute, trafficanti di droga, usurai, corruttori, concussori, bancarottieri...

Per fortuna che tra i principi scritti nella Costituzione c’è anche quello della ragionevolezza che deve ispirare ogni legge ed è per questo motivo che la Carta costituzionale potrebbe entrare in tensione con la progettata riforma delle intercettazioni. Perché non è ragionevole demolire le intercettazioni e quindi il baluardo più sicuro e robusto a difesa della sicurezza dei cittadini privilegiando la tutela degli arcana imperii, che assai spesso coincidono con i vizi pubblici o privati dei potenti. Se si cavalca ogni giorno il tema della sicurezza pretendendo “tolleranza zero” e poi si tollera che la sicurezza di tutti i cittadini sia sacrificata sull’altare dell’interesse di pochi, ecco una sorta di schizofrenia che è ovviamente in contrasto prima con il buon senso e poi con la Costituzione, che tutela gli interessi di tutti e non soltanto di una casta o cricca privilegiata.

Infine, c’è poco da menare il can per l’aia: cifra distintiva della riforma è l’attacco congiunto all’informazione e alla giustizia; contestualità che dovrebbe rendere evidente a tutti come la partita non si possa ridurre ad un qualche comma, emendamento, subemendamento o ritocco di facciata.

La partita vera riguarda la qualità della democrazia italiana, che senza un effettivo controllo sociale (cioè senza un’informazione libera e pluralista) e senza un effettivo controllo di legalità (che comporta una magistratura autonoma e indipendente) sarebbe inesorabilmente condannata ad una deriva. Parlar d’altro può essere comodo o consolatorio, ma c’è il rischio che il Paese si ritrovi in braghe di tela.

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