La manifestazione degli editori contro il ddl Alfano A Roma anche Rodotà, Camilleri, Pace, Sartori
di Silvia Truzzi
Non è strano per niente che sia un teatro a ospitare questo convivio sulla libertà. È il teatro l’ultimo luogo di resistenza, il palco da cui si possono ancora raccontare storie che altrove non hanno più cittadinanza o al massimo vivono in semiclandestinità. Benvenuti nel paese della tv che si definisce duopolista per gentile concessione all’eufemismo e dei giornali che spesso non brillano per indipendenza dalla politica. Così è il Quirino di Roma ad ospitare una matinée sulla libertà, organizzata dagli editori contro la legge bavaglio. I promotori sono Stefano Mauri (Gruppo Gems), Giuseppe Laterza e Marco Cassini (Minimumfax): salgono sul palco in rappresentanza dei loro colleghi firmatari dell’appello, praticamente tutti a parte il gruppo Mondadori. Li aveva preceduti un avvertimento di Bobbio: “Non c’è cultura senza libertà”. Da solo già basterebbe a spiegare perché siamo qui. Ma è un principio che ha ancora bisogno di essere affermato, c’è un’insidia molto concreta da scongiurare: la legge che lega le mani (per non dire delle manette) ai magistrati e zittisce la stampa.
Lo spiega Mauri, ricordando come ultimamente ci siano stati segnali di scarso rispetto per l’opinione pubblica in quest’Italia che – nel momento più delicato della vita democratica, prima delle elezioni – viene privata dei confronti politici in televisione. “La Corte europea ha affermato perentoriamente che la cronaca giudiziaria è fondamentale”. Ma noi in Europa ci stiamo un po’ come vogliamo: Antonio Pascale nel suo intervento rilegge la conversazione tra il parlamentare europeo Martin Schulz e Silvio Berlusconi, a Strasburgo nel 2003. Il tedesco chiese a Berlusconi cosa intendesse fare “per accelerare la creazione di una procura europea e l'introduzione del mandato di arresto europeo”. Come si ricorderà, il premier rispose parlando delle nostre bellezze (a quel tempo si riferiva ai monumenti), di sole e mare. Poi, dulcis in fundo, diede del kapò a Schulz. Applausi. Stefano Rodotà, che tra i primi ha gridato la trappola di questa legge liberticida, chiarisce subito che non “è affatto soddisfatto degli emendamenti”. E punta il dito contro i “cultori della moderazione”, i maggiori responsabili del degrado. “La moderazione”, continua, “ci sono momenti in cui è virtù. Altri in cui diventa vizio“. Nei paraggi c’è tutto (il Quirinale, le sedi di partiti e giornali): speriamo che l’acustica sia buona e che la critica della “cautela” giunga a chi deve. Il professore non dispera: si è parlato di disobbedienza civile a questa legge. “Credo sarà praticata. Non mi faccio illusioni sulle tv (nemmeno la platea, che mormora) ma sui giornali sì. E che faranno allora? Rimuoveranno tutti i direttori? Porteranno in tribunale tutti gli editori?”. L’extrema ratio sarà sapere delle nostre cose (o di Cosa Nostra) su siti come quello di Reporters sans frontières. “Ma è proprio dei regimi obbligare i cittadini a leggere le notizie del loro paese su organi di stampa stranieri”. Poi cita Luigi Einaudi: “Bisogna conoscere per deliberare”. Giovanni Sartori torna proprio lì, sull’opinione pubblica. Rispolvera il suo Homo videns, datato 1997 ma sempre – e sempre più – attuale. Parla del rapporto delicato tra media ed esercizio della democrazia. Siamo la società dei sondaggi: ma chi risponde ai sondaggi cosa sa? Nulla o quasi. “Il bavaglio è l’ultima mossa per creare una falsa, disinformata, stupida opinione pubblica”. Alessandro Pace, costituzionalista e perciò piuttosto sensibile a queste norme che sbeffeggiano la famosa prima parte della Carta - quella intoccabile dei principi fondamentali - si chiede cosa sia la libertà. “La manifestazione della personalità dell’uomo”. Poi prende a prestito le parole di Milton: “È l’anima stessa dell’uomo”. Della legge spiega un aspetto sottovalutato: il divieto di registrazione per i comuni cittadini. Concederlo solo ai giornalisti è una “mela avvelenata”, significa trasformarlo nell’esercizio di un potere, come tale più controllabile. E che succede se un privato filma un rapimento? O un omicidio? Si mette in galera chi può contribuire a far arrestare i colpevoli? “La forza di una libertà è nell’eguaglianza dell’esercizio da parte di tutti”. Sul ddl bifronte – che non si occupa solo della pubblicità degli atti giudiziari”, ma anche della loro liceità in quanto tali – si sofferma Andrea Camilleri : “Forse cederanno sugli aspetti relativi alla stampa, ma io non credo su quelli relativi alle indagini. Fate attenzione”. Prima aveva letto l’appello di Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova, agli studenti nel dicembre ‘43: “Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c'è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c'è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina”.
La storia si ripete? Anche Marco Travaglio fa un viaggio nel tempo, con l’amato Indro Montanelli. Legge un reportage dall’Ungheria, all’epoca dell’invasione sovietica. Non erano gran tempi nemmeno quelli. Però com’era diverso avere giornalisti che si potessero chiamare tali. Quelli che raccontano non per chissà quale coraggio o vocazione. Solo per il dovere di farlo, che è l’altra faccia di un diritto.
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