di Giampiero Gramaglia
L’assalto cruento della Marina militare israeliana contro le imbarcazioni di pacifisti e attivisti filo-palestinesi che portano a Gaza aiuti umanitari “può produrre irreparabili conseguenze nelle relazioni turco-israeliane”: il monito arriva dal ministero degli Esteri di Ankara quando le notizie della strage sono ancora frammentarie.
Una nota a caldo condanna l’attacco “avvenuto in mare aperto in violazione della legge internazionale: i militari israeliani hanno usato la forza contro civili, tra cui donne, vecchi e bambini di vari Paesi”. Fra le vittime e i feriti, numerosi turchi. È un giorno in cui l’attacco alla Turchia appare concentrico: sette militari turchi restano infatti uccisi all’alba nell’attentato compiuti da militanti curdi del Pkk contro una base della Marina militare turca a Iskenderun, sul Mediterraneo.
L’alleanza strategica tra Israele e Turchia – il rapporto più stretto d’Israele con un paese musulmano – s’era prima raffreddata e poi incrinata dopo la recente intesa nucleare tra Iran, Turchia e Brasile. Ora, dice Timur Goksel, docente turco della Facoltà di Scienze politiche dell’Università americana di Beirut, i contatti si interromperanno. Ma solo per un po’: poi riprenderanno, “perché servono a entrambi i Paesi”.
Le reazioni turche sono durissime. Il premier Erdogan ha parlato di terrorismo di Stato, da parte di Israele. Il presidente Abdullah Gül sollecita la comunità internazionale a non rimanere indifferente: “Un attacco a circa 70 miglia nautiche dalla terraferma contro civili che conducono attività pacifiche è inaccettabile”. Ci vuole subito un’inchiesta e “i responsabili devono essere puniti”: la Turchia vuole sapere da Israele “la verità” sull’accaduto.
L’ambasciatore d’Israele in Turchia viene convocato al ministero mentre l’ambasciatore di Turchia in Israele è richiamato in patria. Ankara ha chiesto una riunione urgente della Nato e, all’Onu, di convocare il Consiglio di Sicurezza.
Ci sono contatti telefonici tra il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak e i ministri degli Esteri e della Difesa turchi, che chiedono la consegna dei feriti turchi.
Il capo di Stato Maggiore turco, generale Ilker Basbug, in visita in Egitto, rientra in patria. E le autorità di Ankara cancellano tre manovre militari congiunte turco-israeliane, per quella che il vicepremier Bülent Arinç definisce “una macchia nera nella storia dell’umanità”. A Istanbul, ad Ankara e in altre città migliaia di turchi inscenano manifestazioni di protesta davanti alle sedi diplomatiche israeliane. Nella capitale, in piazza Taksim, i manifestanti hanno bruciato le bandiere israeliane, urlando “dannata Israele” chiedendo l'embargo dei beni. Le crociere in partenza dalla Turchia che dovevano fare tappa in Israele vengono sospese. La nave Mirage1, già salpata da Israele, con a bordo 420 israeliani, e diretta ad Alanya, viene dirottata sull’isola greca di Rodi. C’è il timore di incidenti, all’attracco d’imbarcazioni israeliane nei porti turchi. E i cittadini israeliani ricevono, dalle loro autorità, l’invito a rinviare i viaggi in Turchia. La partita di calcio tra le Nazionali under 18 viene annullata. Al distacco tra Israele e Turchia corrisponde un riavvicinamento turco-palestinese: il presidente palestinese Abu Mazen telefona a Gül.
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