Trattativa Stato-Mafia, la Procura di Palermo ha iscritto il generale con l’accusa di concorso in associazione
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
La Procura di Palermo rilegge il ruolo dei vertici del Ros nell'ambito della trattativa tra mafia e Stato. E iscrive il nome del generale Mario Mori nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa. La nuova impennata delle indagini nasce dall'analisi sincronica di una serie di episodi che vedono l'ex capo del Ros al centro di ambigue vicende legate alla cattura dei grandi latitanti corleonesi. E i riflettori si riaccendono sul Giano bifronte dell'antimafia, rilanciando sulla personalità del generale l'eterno dilemma: fuoriclasse delle investigazioni o – come ha detto lo stesso Mori in aula – ''minus habens che procede nelle indagini senza la parvenza del discernimento'', fino ai confini della collusione mafiosa? ''Penso che non siamo né l'uno né l'altra cosa – è la risposta consegnata ai giudici dallo stesso ufficiale del Ros – però un minimo di buon senso, per evitare di fare le vittime sacrificali di un gioco che, se fosse esistito, sarebbe stato piu' grande di noi, ritengo che ce lo dovrebbero concedere tutti''. Ora i pm Paolo Guido e Nino Di Matteo, coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, mettendo insieme tre episodi importanti della carriera di Mori che costituiscono altrettanti punti oscuri della lotta a Cosa Nostra, hanno definito i contorni dell'accusa: concorso in associazione mafiosa.
Gli episodi sottoposti dagli inquirenti ad una rilettura contestuale sono la mancata perquisizione del covo di Totò Riina nel '92, la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel '95, ed il ruolo di Mori nella trattativa con l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, disegnato dal figlio di quest'ultimo, Massimo, oggi agguerrito testimone.
Su alcune di queste vicende la magistratura si è già pronunciata: Mori è stato assolto con il capitano ''Ultimo'', alias Sergio De Caprio, per la mancata perquisizione del covo di Riina. Su altre sono in corso indagini e processi: Mori è imputato per favoreggiamento con il colonnello Mauro Obinu nel processo per la mancata cattura di Provenzano.
Sulla trattativa, le indagini sono appena entrate nel vivo. Sulla scia delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino sul presunto negoziato tra mafia e Stato che si sarebbe articolato a cavallo della strage di via D'Amelio, i pm hanno aperto, infatti, un corposo fascicolo processuale iscrivendo nel registro degli indagati una decina di persone: servitori dello Stato, intermediari, e boss di Cosa Nostra. In questo dossier e' indagato anche l'ex braccio destro di Mori: il colonnello Giuseppe De Donno, l'apripista della trattativa, sospettato – in base all'articolo 338 del codice penale – di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.
Chi sono gli altri nomi dell'inchiesta? Il colonnello dell'Arma in servizio presso il nucleo del Quirinale Antonello Angeli, indagato per favoreggiamento: secondo i pm omise di sequestrare importanti documenti, tra cui il famigerato ''papello'', rinvenuti nella villa all'Addaura di Massimo Ciancimino, durante la perquisizione del 17 febbraio 2005. E poi i boss corleonesi Totò Riina e Bernardo Provenzano, e il ''mediatore'' Antonino Cinà, il medico di Riina che fece da postino tra i boss e don Vito Ciancimino. Tra i personaggi coinvolti nell'indagine, infine, ci sarebbero anche il misterioso Carlo-Franco, alcuni 007 individuati da Massimo Ciancimino, e con tutta probabilità lo stesso figlio di don Vito che nella vicenda, per sua stessa ammissione, ha svolto un suo ruolo significativo.
Non è confermata, invece, l'iscrizione di esponenti politici indicati dallo stesso figlio di don Vito come i ''garanti'' della trattativa. Sullo sfondo della nuova accusa a Mori, c'è l'ipotesi che i tre momenti oscuri della carriera del generale siano i tasselli di un accordo con Cosa Nostra che si trascina in un lungo arco di tempo, condizionando la vita democratica del paese. In questo contesto, la pluridecennale latitanza di Provenzano (arrestato solo undici anni dopo Mezzojuso, l'11 aprile del 2006, in un casolare del corleonese) sarebbe il frutto di un ''pactum sceleris'' sancito tra il superboss e pezzi dello Stato che, come racconta Massimo Ciancimino, avrebbero addirittura concesso a Binu un ''lasciapassare'' per permettergli di muoversi liberamente sul territorio nazionale, nonostante fosse il numero uno dei latitanti più pericolosi d'Italia. Proprio su Mario Mori si erano accesi anche i riflettori investigativi della Procura di Firenze che nel 2003 indagava su una presunta interlocuzione, a suon di bombe, tra Stato e mafia in relazione all'iter legislativo dell'articolo 41 bis. Titolare di quella indagine era il pm Gabriele Chelazzi che, come ha rivelato recentemente il suo collega Alfonso Sabella, interrogò il generale pochi giorni prima di morire d'infarto, e lo iscrisse nel registro degli indagati con l'ipotesi di favoreggiamento. Secondo Chelazzi, esisteva un rapporto diretto tra la revoca di alcuni 41 bis e il fallito attentato dello stadio Olimpico che il pm fiorentino aveva datato al 31 ottobre del 1993.
''L'aspetto tecnico di iscrivere Mori nel registro degli indagati – ha raccontato Sabella – verteva su una domanda specifica: l'avrebbe fatto per favorire la mafia o per favorire sostanzialmente la pacificazione nello Stato? Chelazzi giustamente sosteneva di volerlo appurare da Mori e aggiungeva: mi venga a dire perché l'avrebbe fatto, oppure invochi il segreto di Stato''.
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