UGO MAGRI
Salvo ripensamenti notturni (sempre possibili, dato il carattere imprevedibile del personaggio) Berlusconi adotterà oggi la tecnica dello struzzo. Fingerà di non vedere che al suo governo manca la certezza dei numeri, che pezzi della presunta maggioranza vanno a braccetto con le opposizioni, che di fatto egli si ritrova alla guida di un esecutivo balneare. Il Cavaliere ficcherà la testa sotto la sabbia, questo si scommette nella sua corte romana, rifiutando il gesto delle dimissioni in quanto non intende rischiare il vero chiarimento adesso. Prima ha cose più urgenti da fare: rimettere in asse il partito, rilanciare il programma di governo. Gli servirà l’intero mese di agosto. Poi, a settembre, Berlusconi calerà le carte. O rilancio, oppure elezioni anticipate entro fine anno. Ma adesso no, per la resa dei conti è troppo presto.
Cosicché, proprio mentre ieri a Montecitorio impazzavano le voci di crisi alle porte, e si raccontava nei capannelli del Transatlantico di un Cavaliere furioso per l’astensione di Fini su Caliendo, deciso a cacciare i ministri e i vice-ministri di An, pronto perfino a salire sul Colle (se non fosse che Napolitano è già partito ieri sera per Stromboli dove trascorrerà le sue ferie), mentre dunque andava in scena questo psicodramma, lui aveva la testa tutta concentrata altrove. Si occupava di scenari futuri, si scervellava su riforme capaci di togliere la patina opaca dal profilo del governo, e soprattutto si dedicava al partito. Qui si annuncia il vero cambio, radicale.
Se sono vere le intenzioni manifestate a certi interlocutori di fiducia, Berlusconi mira a fare piazza pulita del gruppo dirigente nazionale in tempi brevi, forse brevissimi. Non per gettare la croce addosso a Verdini, assalito da un nugolo di inchieste, e tantomeno a Bondi, pronto a sacrificarsi per il leader, o al fedele
Si annunciano in agosto lunghi conciliaboli del premier con Tremonti, onde chiarirsi a fondo e ritrovare sintonia operativa sui (pochi) denari da spendere: questo sussurrano tra Palazzo Grazioli e Palazzo Grazioli. Scenari proiettati in avanti, con i quali una crisi a rotta di collo non ci azzecca affatto: non sta nei piani del Cavaliere.
Specie ora, che i sondaggi non giocano a suo favore. Poi, si capisce, la santabarbara può saltare su qualunque scintilla. Sull’atteggiamento dei ministri e vice-ministri finiani, ad esempio. Anche loro si asterranno sulla fiducia al collega di governo Caliendo (ricevuto verso sera dal Cavaliere insieme col Guardasigilli Alfano), oppure voteranno contro la mozione del Pd, come li pungola Cicchitto? Quale lealtà avrà la meglio, quella al premier o quella verso il presidente della Camera? Gasparri racconta che uno di questi finiani governativi «in preda alle convulsioni» si è rivolto a lui, chiedendo consiglio. E il capogruppo Pdl giura di averlo mandato con Dio: «Regolati come Marzullo, fatti una domanda e datti una risposta...».
Quando c’è la volontà, una foglia di fico si trova sempre. Eppure nessuno tra i «berluscones» nutre illusioni: il governo è in ginocchio. La formazione di un centro politico sotto l’egida di Casini viene vissuta con grande preoccupazione. Addirittura qualcuno solidarizza col Pd, casomai dovesse subire a sua volta emorragie (Bonaiuti, portavoce del Cavaliere, è stato visto colloquiare fitto fitto con il segretario Pd Bersani), segno di convergenze bipolari: l’avversario comune sta in mezzo.
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