MATTIA FELTRI
Forse i due che si assomigliano maggiormente sono il più giovane e il più vecchio, l’onorevole Gianfranco Paglia, quarant’anni, e l’onorevole Mirko Tremaglia, ottantaquattro. Paglia ha perso l’uso delle gambe nella battaglia del Pastificio, Mogadiscio 1993, e ne ha guadagnato una medaglia d’oro al valor militare. Tremaglia combatté diciassettenne, con onore e dalla parte sbagliata, quella di Salò, l’epilogo della Seconda guerra mondiale. Sono due dei quarantatré finiani - trentatré alla Camera e dieci al Senato - che scuotono la legislatura. Tremaglia, il vecchio bergamasco, vive con tensione altalenante il matrimonio con Gianfranco Fini, che pareva definitivamente interrotto dopo la qualifica che il capo diede del fascismo - male assoluto - altamente lesiva dell’orgoglio di una generazione. Fini non può più fare il leader, disse Tremaglia.
Cambiare idea è sacrosanto, e infatti questo nutrito manipolo di guastatori è bello eterogeneo, come vogliono i tempi moderni. C’è per esempio la marocchina Souad Sbai, grande paladina dei diritti delle donne islamiche, e c’è Maurizio Saia, che ebbe l’onore dei corsivi quattro anni fa, quando giudicò Rosy Bindi indegna del ministero della Famiglia in quanto lesbica (secondo lui): «Guardiamoci in faccia», disse Saia, e Fini lo guardò in faccia e disse: «E’ un imbecille». Ma poi tutto si scorda e s’aggiusta e Saia oggi segue convinto il vecchio boss ma cede al magone perché «stavolta rompiamo con gente con cui facevamo insieme i campi hobbit».
I capibastone sono pochi. Ai tempi erano vice dei vice: i vari Italo Bocchino, Fabio Granata, Adolfo Urso, Carmelo Briguglio. La star è l’attore Luca Barbareschi. Il cervellone è Mario Baldassarri, ex viceministro all’Economia, specializzato al Mit del Massachusetts con Franco Modigliani e Paul Saumelson anche se di Baldassarri, in lampi di frivolezza, la stampa ricorda più frequentemente la seduta spiritica del ‘78, quando il fantasmino cercò di spifferare a lui e a Romano Prodi dov’era recluso Aldo Moro. Il fedelissimo è Donato Lamorte, 79 anni, una specie di combinazione vivente delle casseforti finiane. Le ibarruri sono soprattutto Flavia Perina e Giulia Bongiorno.
Flavia Perina è fra i più solidi della truppa. Quattro anni fa seppe resistere agli schiaffoni di Fini per il quale la direzione del Secolo, affidata alla Perina nel 2000, era fallimentare: «Di questo giornale non sappiamo che farcene». Lei, a dir la verità, a svecchiare il quotidiano ci provava da tempo (senza l’aiuto del partito) e con una linea che ormai è compiuta e che, secondo i detrattori, pare una riedizione fuori tempo massimo dell’Unità veltroniana, così pop ecumenica, in cui vien buono tutto, Francesco Guccini, Hannah Arendt, Tintin. E però
E poi, andando avanti, abbiamo in Maria Grazia Siliquini l’ex casiniana, in Benedetto Della Vedova l’ex pannelliano. Abbiamo in Giuseppe Consolo il giurista napoletano, l’insegnante alla Luiss, il padre dell’attrice Nicoletta Romanoff che, per via materna, discende dagli zar di Russia. Consolo, lo scorso maggio, si produsse in una tirata contro i vigili urbani di Roma che con atteggiamento pretestuoso, disse, gonfiavano di multe lui e i suoi colleghi parlamentari. C’è Maria Ida Germontani che è stata la prima deputata di destra eletta a Reggio Emilia nel Dopoguerra. C’è il senatore Francesco Pontone, ottantatré anni, al quale dobbiamo l’istituzione della festa del nonno. Abbiamo la bella Catia Polidori, di Città di Castello, che nel sito personale ancora esibisce le foto col Cavaliere. Abbiamo Silvano Moffa, ex presidente della Provincia di Roma. E abbiamo, per concludere, il deputato bellunese Roberto Menia, promotore della legge con cui è stata istituita la giornata del Ricordo in onore delle vittime delle foibe, un merito che non è certo oscurato dalle celebri immagini delle Jene, che proposero un Menia portato in trionfo in Perù, dov’era andato per prestare soccorso a quell’«incredibile macchina della tecnica e della natura che è il colibrì».
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