mercoledì 18 agosto 2010

Fu Cossiga che spalancò la strada ai devastatori

di Angelo d’Orsi

Forse Francesco Cossiga resterà nella cronaca di fine millennio come “il picconatore”; e, personalmente, ho sempre trovato nell’espressione un’indulgenza insopportabile, che, accogliendo l’immagine che egli stesso diede del “lavoro” da lui svolto come disgregatore di uno Stato che egli avrebbe dovuto difendere e insieme rappresentare, specie nella seconda parte del suo mandato presidenziale, dal 1989 al 1992.

Eccesso di bonomìa

INDULGENZA, che, d’altronde, corrisponde all’atteggiamento prevalente nei confronti di questo politico di lungo corso, da parte dei commentatori professionali. Nel giudizio sui comportamenti dell’ex presidente della Repubblica, già presidente del Senato, già presidente del Consiglio, già ministro dell’Interno in momenti difficilissimi della nostra storia – il caso Moro per tutti –, è sempre prevalsa la bonomia: si sottolineava il carattere bislacco, le bizzarrie dell’uomo, la sua “indipendenza”, che lo portava sovente in rotta di collisione con le forze politiche alle quali di volta in volta è stato legato, dopo la fine della DC, o, nel complesso gioco delle correnti in seno alla “balena bianca”. Sempre, contestualmente, si poneva in luce l’intelligenza, la verve che lo portava a coniare espressioni che sovente entrarono nel lessico comune, con metafore magari strampalate ma efficaci (a cominciare appunto dai colpi di piccone), e, infine, la “simpatia” del conversatore. Tutti tratti che anche i critici finivano per privilegiare, pur quando non nascondevano alcune delle malefatte del personaggio, magari sedotti da un motto di spirito, da una battutaccia, dall’ammiccamento all’avversario. Proprio con queste metodiche Francesco Cossiga si ritagliò consensi anche in seno alla sinistra (che compatta lo portò al Quirinale nel 1985), alla quale, peraltro, poteva sembrare una buona credenziale la parentela con la famiglia Berlinguer, e, sempre in nome della “sardità”, i richiami al “grande sardo” per eccellenza, che talora provenivano da parte di Cossiga: Antonio Gramsci. Fu per esempio in occasione delle polemiche, nell’estate di sei anni fa, sulla cosiddetta “casa Gramsci”, che il Comune di Torino decise di trasformare in hotel cinque stelle lusso, che il “vecchio leone” (così qualcuno si spinse ad etichettarlo) diede la sua zampata, scendendo in campo con coloro – chi scrive, ad esempio – che si battevano contro la cancellazione dei simboli, e dunque peroravano il carattere pubblico di quell’edificio, e contro la sua destinazione a gruppi finanziari per speculazioni immobiliari. Insomma, anche allora, non mancò chi insisté sul “bastian contrari”, traendone conferma della sua autonomia di giudizio. Ma se fosse stato semplicemente il piacere di èpater le bourgeois? Un gioco che a Cossiga riuscì sempre bene, specialmente dopo l’abbandono della Presidenza, pochi giorni prima della scadenza naturale (con un gesto che di nuovo voleva stupire, ma che aveva anche il significato di un oscuro avvertimento), quando egli si sentì più libero di strafare e straparlare. In realtà, anche in carica, Cossiga capo dello Stato portò avanti una linea, che risale al buon Pertini, di “interventismo del Presidente”, che tanti guasti ha fatto, nella vita istituzionale: egli lo voltò in termini insieme populistici e militareschi.

Storie ambigue

LA MORTE di Giorgiana Masi, il ruolo ambiguo nella vicenda Moro, le rivelazioni sulla Gladio, le recenti, pazzesche dichiarazioni sull’opportunità di infiltrare provocatori nel movimento studentesco, hanno fatto comprendere che quelle SS a forma di svastica al centro del suo nome erano sì una provocazione, ma degna del lessico e dello stesso universo politico cossighiano. E alludevano, quelle due S, a un mondo che era un crocevia di “spezzoni”, come si dice, di polizia e carabinieri, “settori deviati” dei Servizi Segreti, ambienti finanziari e industriali, Cia (quella non manca mai) e Segreterie di Stato, dalla Roma Vaticana fino a Washington.

Tra due stagioni

SICCHÉ, ora che esce di scena, possiamo riflettere sul senso della presenza ora sotto traccia, ora in primo piano, di Cossiga, traghettatore della Prima Repubblica verso la sedicente Seconda, come uno dei grandi responsabili della delegittimazione del Parlamento, uno dei più tenaci guastatori delle istituzioni, di cui ha favorito il discredito, preparando il terreno ai devastatori che giunsero doppiato il capo degli anni ’90. Attraversando molte delle vicende più inquietanti dell’Italia repubblicana, Francesco Cossiga ci appare oggi quasi un nome simbolo di quell’elemento che la teoria politica ha considerato l’opposto della democrazia: il potere invisibile. E con la sua scomparsa – vecchio ormai fuori gioco – rimane un cumulo di non acclarato, davanti al quale mentre tanti continueranno a ripetere le giaculatorie su Cossiga “ragazzaccio” della politica nazionale, noi ci interrogheremo su chi sia stato davvero questo deuteragonista, tanto informato, quanto misterioso, della storia italiana.



Nessun commento: