sabato 14 agosto 2010

Giorgio Bocca: «Napolitano parli più spesso, l'Italia rischia»


di Oreste Pivettatutti

Bocca, il vecchio giovane partigiano, il grande giornalista che ha insegnato quanto il mestiere di giornalista possa essere importante quando s’esercitano le armi della critica e quando si sa difendere l’indipendenza di giudizio (e Bocca potrebbe ricordare, per questo, infiniti attacchi da destra e da sinistra). Bocca mi dice del suo «pessimismo totale, apocalittico» nel descrivere un paese alla deriva, con rimpianto per le occasioni che questo paese ha avuto (e costruito) per essere una democrazia, vera, moderna: Ma la democrazia – dice Bocca – è pratica assai difficile, impegnativa. Forse troppo difficile e impegnativa per gli italiani.

Hai letto l’intervista al presidente Napolitano sull’Unità?

«Mi sembra solo che il presidente abbia tutto il diritto di intervenire quando e dove vuole».

Dopo l’intervista, si sono uditi in coro gli strepiti degli ultrà berlusconiani contro la scelta del presidente di affidare il suo pensiero a un giornale di partito come l’Unità… Gasparri ha sentenziato che Napolitano avrebbe tradito il suo mandato: non sarebbe più un presidente super partes…

«Stupidaggini. Questioni di lana caprina. Che cosa vuol dire super partes? Peraltro, è giustificato rimanersene super partes quando tutto ti rotola attorno? Se ho una critica per Napolitano, è proprio per la sua freddezza, per la sua distanza. Francamente, certe volte, non capisco il suo silenzio. Di fronte a un’emergenza come quella che stiamo vivendo, popolata di ladri e truffatori, credo che dovrebbe sentire il bisogno di intervenire più spesso».


Anche sull’Unità, quindi?
«E dove, altrimenti? Nella crisi devastante del paese, ci sta anche la crisi dell’informazione. Informazione di regime: televisioni, giornali… asserviti, con rare eccezioni. Berlusconi riesce a imporre ovunque la sua visione propagandistica delle cose. Gli basta mezzo punto in percentuale in più di qualcosa per gridare al miracolo, alla rinascita, al successo. Naturalmente per merito suo. Poi si leggono le classifiche internazionali che compaiono sugli organi di stampa di tutto il mondo e ci ritroviamo al quarantesimo posto, al cinquantesimo o non so a che gradino delle graduatorie che dovrebbero riassumere il grado di civiltà o di benessere di un paese. Ma la sua versione intanto passa tra gli italiani, per responsabilità della stampa e delle televisioni, che hanno rinunciato al loro compito, che non è far da megafono a tutte le banalità di Berlusconi, ma è indagare seriamente la realtà. Pensa al successo del gossip: ti viene proposto un mondo in cui specchiarti, che ti viene proposto di imitare, senza che nessuno ti dica che quella è solo una brutta cartolina».

Sei pessimista. Eppure qualche cosa si muove. Fini, ad esempio, dà segni di rottura…
«Fini è stato uno dei capi del Msi e non lo dimentico. Il figlio di una socialista. Non capisco come abbia potuto seguire quella strada. Ma io non riesco a pensare al presente italiano come una sfida Berlusconi-Fini. Intanto Berlusconi ha sempre la maggioranza e il suo codazzo di dipendenti e di ministri, caricature di ministri. Ripeto: è in crisi la democrazia, che vive di equilibrio di poteri e di esercizio del controllo, in un paese dominato da un tardo capitalismo che non sopporta più i controlli. Berlusconi è l’interprete sommo di questo capitalismo di rapina: chi più di lui ha dimostrato ostilità a qualsiasi tipo di controllo, da imprenditore o da politico, allo stesso modo? Questo è il paese dove alcuni comitati d’affari si sono organizzati in un sistema, o in un regime, omertoso, con garanzie di impunità, come mostrano le tante leggi ad personam approvate o tentate, per rapinare soldi allo Stato. Fare affari in Italia significa prendere soldi allo Stato: questa è la verità, come si dimostra ogni giorno».

Ma è un problema solo nostro?
«Nostro, direi, con una spiccata originalità. Perché anche altrove rubano, ma tutto sommato è forte un costume democratico che ovviamente genera una reazione diffusa, produce anticorpi al malaffare. Qui pare che vada bene così. Tutti rubano, tutti si illudono di poter rubare: tutto sommato la crisi è da abbondanza… o da illusione di abbondanza. Mi pare che questo sia uno dei peggiori momenti della nostra storia, che ti conduce alle più amare riflessioni. Come ci si può spiegare tanta ammirazione degli italiani per Berlusconi? Che cosa ha fatto Berlusconi se non i propri interessi, sempre? Se cerchi di dare una spiegazione, devi concludere che gli italiani sono un popolo di immaturi, suggestionati da alcune immagini pubblicitarie. È la storia della passione nazionale per il gossip, di cui si diceva prima. Ma forse questa non è una spiegazione sufficiente, se penso all’ultimo, o quasi, secolo di storia, al fascismo, alla Resistenza, alla Liberazione, alla ricostruzione dopo la guerra. In fondo gli italiani sono stati capaci di liberarsi dai nazisti e dai fascisti, di conquistarsi la democrazia, di avviarsi al benessere. E adesso? Il disastro, il baratro, il rischio di nuove dittature. Come spiegare la mutazione? Diciamo che gli italiani sono imponderabili. O, più tragicamente, che gli italiani sono un popolo negato alla democrazia, storicamente, salvo straordinarie reazioni di alcuni momenti della sua storia, e che questo è un paese dove le mafie hanno incontrato più fortuna della democrazia. Dicono che sono pessimista perché sono vecchio. Sono vecchio, è vero, ma sono pessimista perché sono vissuto molto, ho imparato a conoscere questo paese, Berlusconi e la gente che gli sta attorno».

14 agosto 2010

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