mercoledì 4 agosto 2010

Gli ex An divisi dalla cassaforte


FRANCESCO GRIGNETTI

Tiene sempre banco la storia dell’appartamento di Montecarlo, finito fortunosamente nelle proprietà di Alleanza nazionale nel 1999 e venduto dieci anni dopo a una società off-shore che l’ha affittato, guarda caso, a Gian Carlo Tulliani, il genero di Gianfranco Fini. Fu venduta a 300 mila euro, ma ne valeva il quadruplo. «Manco fosse un grattacielo... Non ne posso davvero più di chi mi insegue per questa storia», sbuffa il senatore Franco Pontone, l’ex tesoriere di An.

Il «Giornale» continua intanto a martellare su Elisabetta Tulliani, la seconda moglie di Fini, affermando che il suo ex fidanzato, Luciano Gaucci, patron del Perugia Calcio, le avrebbe intestato ricche proprietà prima del crack, che lei ora si rifiuta di restituire. Ricostruzione «falsa e diffamatoria», sostengono i suoi legali. Non si nega che tra i due vi sia una causa civile in corso per decidere chi sia il legittimo proprietario dei beni. Ma la Tulliani sostiene che l’acquisto dei beni contestati «è avvenuto con i ricavi di una vincita all’Enalotto e con i risparmi dei genitori». Fu lei a essere baciata dalla fortuna, dunque, e se poi affidò a Gaucci un miliardo e cento milioni se ne è pentita amaramente. Di qui la lite, la disputa sulle case, il contenzioso.

Ben altro contenzioso già si annuncia, peraltro, sul patrimonio di An. Il partito si è sciolto, politicamente parlando, al momento di confluire nel Pdl. Ma non s’è dissolto. Esiste, sia pure in forma transitoria, per gestire le sue ricchezze (un’ottantina di immobili, tra cui la prestigiosa sede della direzione nazionale in via della Scrofa, stimati sui 300 milioni di euro; la testata gloriosa «Il Secolo d’Italia»; più un tesoretto valutato in altri cento milioni di euro). Obiettivo, dare vita a una Fondazione che avrebbe dovuto difendere e valorizzare il patrimonio di idee del vecchio Msi poi An.

Ora che c’è stata la rottura, però, e che la vecchia An s’è spaccata verticalmente, la questione della cassaforte è calda più che mai. Tanto più che Gianfranco Fini la controlla a distanza attraverso due anziani parlamentari, Donato Lamorte e Franco Pontone, di sua stretta osservanza. A capo del partito che c’è ma non c’è, infatti, ci sarebbe un Comitato dei garanti composto da nove parlamentari e dove i finiani sono persino in minoranza, ma i poteri veri sono in capo a un Comitato di gestione che è composto di tre persone, due anonimi funzionari e il senatore Pontone. E’ quest’ultimo, insomma, ad avere le chiavi della cassaforte. Proprio ieri si sono visti, Garanti e Gestori, per discutere il da farsi. Inutile dire che è finita abbastanza male.

Come dice in vista dalla riunione un antifiniano quale Piefrancesco Gamba con garbato eufemismo: «Il Comitato di gestione tende a fare di testa sua. Ma dev’essere chiaro che questa non è una società in liquidazione; i gestori non possono fare operazioni straordinarie quali vendite o alienazioni, tantomeno senza avvertire noi garanti. Lo stesso vale per eventuali contributi straordinari al giornale».

I due schieramenti sembrano aver raggiunto una tregua su un solo punto: congelare per un anno il patrimonio e poi si vedrà. Pontone sul punto è chiarissimo. «Qui - dice - non si divide niente, né la cassa, né gli immobili. Il patrimonio, come ha deciso il congresso, nel 2011 deve finire alla Fondazione, che sarà di tutti noi, Fini o non Fini. Non è che separandoci alcuni acquistano diritti o altri ne perdono». Tesi suggestiva, ma che gli «altri» vedono come un escamotage per tenersi il malloppo.

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