domenica 22 agosto 2010

Il partito che non c'è


LUCA RICOLFI

Al momento è difficile capire se, alla fine, il dissidio tra Fini e Berlusconi ci porterà ad elezioni anticipate oppure no. Se a questo esito si dovesse arrivare con l’offerta politica attuale, per molti cittadini non sarebbe semplice scegliere da che parte stare. Alla fine molti andrebbero comunque a votare, ma solo per minimizzare i danni, visto che - nonostante tutto - sono ancora parecchie le persone che credono di sapere quale sarebbe il peggior male possibile, quella che in teoria dei giochi si chiama l’alternativa da evitare: Berlusconi, la Lega, i post-comunisti, i post-fascisti, i neo-democristiani, il clericalismo, il laicismo, eccetera eccetera.

Rispetto alle contese elettorali passate, però, c’è secondo me un elemento nuovo. Oggi, forse anche perché ci stiamo avvicinando al centocinquantenario dell’Unità d’Italia, la posta in gioco fondamentale è l’idea di unità nazionale. E, rispetto a questa posta, la confusione e l’ambiguità dell’offerta politica stanno toccando il loro massimo. La ragione è semplice: continuiamo a parlare come se lo scontro fosse fra destra e sinistra, mentre ormai le linee di divisione fondamentali sono altre.

Una linea di divisione va in scena tutti i giorni sui media, e riguarda il modo di concepire la legalità, le istituzioni, la democrazia. Su questa barricata, che appassiona le élite politico-intellettuali ma secondo tutti i sondaggi lascia sostanzialmente indifferenti gli elettori, si scontrano la visione plebiscitaria e populista di Bossi-Berlusconi e il conservatorismo costituzionale di quasi tutti gli altri.

Una seconda linea di divisione, meno visibile ma politicamente importantissima, riguarda il federalismo e il ruolo della Lega. Su questa barricata ci sono due sole posizioni chiare, e in un certo senso estreme: quella della Lega, che vede il federalismo innanzitutto come difesa degli interessi del Nord, e quella del nascente polo di centro, i cui esponenti hanno invece sempre diffidato del federalismo, visto come un castigo del Mezzogiorno e quindi come una minaccia all’unità nazionale. Una linea di pensiero cui più volte (anche nei giorni scorsi) ha dato manforte la Chiesa, con esternazioni tanto accorate quanto prive di concretezza. In mezzo, fra il nordismo della Lega e il sudismo dei moderati, si collocano i due partiti nazionali, il Pdl e il Pd, che su questo asse della politica italiana sono il vero centro, il vero elemento equilibratore, i soli che hanno tentato - ciascuno a modo suo, e forse entrambi senza riuscirvi - di tenere conto sia degli interessi del Nord sia di quelli del Sud. Il Pdl frenando la Lega ma riconoscendone le buone ragioni, il Pd oscillando fra condivisione e diffidenza nei confronti del progetto federalista. Ora però questa loro funzione nazionale è posta di fronte a sfide difficili, che nascono sia dal lato dell’offerta politica che dal lato della domanda.

Sul versante dell’offerta, è probabile che alle prossime elezioni troveremo sulla scheda anche una terza coalizione, o Terzo polo, per la quale il nemico da battere sarà la Lega e la stella polare saranno gli interessi del Mezzogiorno. Una coalizione che si presenterà come «garante dell’unità nazionale», ma di fatto interpreterà la sua missione innanzitutto come difesa del Sud dai guasti del federalismo. È chiaro che una coalizione del genere avrebbe la Lega come nemico numero uno, e chiunque volesse averne i voti in Parlamento dovrebbe rompere con il partito di Bossi. Dunque un rischio per il Pdl, che difficilmente potrebbe rinunciare all’alleanza con la Lega, una tentazione per il Pd, in cui l’anima antifederalista potrebbe prendere il sopravvento, attratta dall’idea di mandare a casa Berlusconi grazie alla santa alleanza di tutti i suoi nemici.

Sul versante della domanda, invece, le novità e le sfide vengono tutte dal Nord. Mentre al Sud la nascita di un Terzo polo fortemente caratterizzato in senso meridionalista determinerà un eccesso di offerta politica, con Pd, Pdl e Terzo polo ferocemente impegnati a contendersi i voti, al Nord avremo il problema opposto, ossia un deficit di offerta politica, con conseguente quasi-monopolio dei consensi da parte della Lega (il che spiega l’impazienza di Bossi di andare ad elezioni). Con uno scontro politico polarizzato sull’asse Nord-Sud, è possibile che il cittadino di destra si senta più garantito dalla Lega che dal Pdl, mentre quello di sinistra rischia di non sentirsi garantito da nessuno. È sorprendente che i dirigenti romani del Pd non se ne rendano conto, ma la realtà è che al Nord anche la base del Pd è convintamente federalista, e persino sull’immigrazione e sulla sicurezza spesso si ritrova più nella linea dura della Lega che nel buonismo ideologico della cultura di sinistra. L’elettore di sinistra non ama le guasconate della Lega, detesta la volgarità di alcuni suoi esponenti, è rimasto scandalizzato dalla vicenda delle quote latte, vorrebbe piena eguaglianza fra italiani e immigrati regolari, trova indegno lo stato delle nostre carceri e dei nostri centri di raccolta dei clandestini. Però, specie in Lombardia e nel Nord-Est, sui due punti fondamentali della Lega, sul nucleo duro della sua visione del mondo, è sostanzialmente d’accordo: l’immigrazione irregolare va contrastata con fermezza, il Nord non può continuare a mantenere il Sud tollerando sprechi ed evasione fiscale.

Così l’analisi della domanda e dell’offerta politica ci restituisce un problema. Questo tipo di cittadini del Nord, ma ve ne sono molti anche al Centro e al Sud, non hanno un partito che li rappresenti. Alcuni, forse la maggioranza, non andranno a votare. Altri voteranno Pd per disperazione antiberlusconiana. Altri salteranno il fosso e voteranno Lega, obtorto collo e fra mille riserve e distinguo (turandosi il naso, avrebbe detto Montanelli). Eppure, essi come tanti altri, voterebbero ben volentieri un partito che, come la gloriosa rivista liberal-democratica di politica e cultura fondata da Francesco Compagna a Napoli nel 1954, si chiamasse «Nord e Sud», e avesse il federalismo - un federalismo fatto bene - come sua prima missione. Un partito critico con la Lega, ma non ostile al federalismo. Un partito di uomini del Nord e uomini del Sud, che riconoscesse che la vera frattura, oggi, non è fra Nord e Sud, e nemmeno fra destra e sinistra, ma fra i tanti produttori, che lavorano duro e rispettano la legge, e i troppi parassiti, che dissipano le risorse comuni e disprezzano le regole del gioco.

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