venerdì 6 agosto 2010

Il tassello che manca al federalismo fiscale


LUCA RICOLFI

Apparentemente, il cammino del federalismo fiscale procede spedito. Sono già quattro i decreti delegati varati dal governo, ultimo quello sul «fedealismo municipale», in via di definizione in questi giorni. Altri decreti seguiranno a breve, a completamento di una riforma che è la ragion d'essere della Lega.

C'è un problema, però. Per quanto quasi tutti i politici si esercitino in giudizi (positivi per la maggioranza, negativi per l'opposizione), la realtà è che il cammino del federalismo fiscale è semplicemente N.C. (non classificabile), come certi allievi a fine quadrimestre, quando hanno un numero di interrogazioni e compiti in classe troppo esiguo per consentire all'insegnante di calcolare una media.

Perché è difficile formulare un giudizio?

Perché il federalismo va avanti per scatole vuote di numeri. La legge delega (5 maggio 2009) era naturalmente e giustamente una scatola vuota, perché conteneva solo principi generali, come si addice a una legge delega. Ma anche la Relazione sul Federalismo Fiscale presentata dal Governo il 30 giugno scorso, assolutamente meritoria per lo sforzo di dipanare in qualche modo la giungla della finanza pubblica, era tuttavia di nuovo una scatola sostanzialmente vuota, perché - pur piena zeppa di utilissime tabelle - non conteneva né costi standard né obiettivi di bilancio precisi per Regioni, Province e Comuni, bensì solo vaghe indicazioni di metodo, nonché la specificazione di quali Enti dovranno in futuro fare i calcoli.

In questo caso la mancanza di indicazioni quantitative precise era assai meno giustificata. Il grave, però, è venuto con i primi decreti delegati, anch'essi vuoti di numeri e pieni di rimandi a passaggi successivi. Qui l'assenza di cifre precise e di regole stringenti non era prevista e non è giustificata, anche se non è difficile comprenderne le ragioni: quasi nessuno, fra i politici, sembra aver capito in tempo che per decollare sul serio il federalismo fiscale avrebbe dovuto essere studiato nei minimi dettagli per almeno 2-3 anni.

Stante questa assenza di indicazioni quantitative non me la sento di dare alcuna valutazione sull'ultimo decreto delegato, quello relativo al fisco municipale, che dovrebbe dettare le regole di finanziamento delle spese dei comuni, ma in realtà ancora una volta rinuncia a mettere dei numeri precisi nelle caselle chiave. Eppure è quello che avrebbe dovuto fare. Se non fossimo terribilmente indietro, leggendo il decreto delegato sul fisco municipale il cittadino di ogni singolo comune dovrebbe venire a conoscenza di almeno due cifre: quanto il comune è autorizzato a spendere (y), quante imposte dovrebbero versare i suoi cittadini (x). Queste due cifre non si sanno, e chissà quanti mesi o anni dovranno passare prima che si conoscano.

Ma non è tutto. Se il federalismo fosse oggi qualcosa di più che una manifestazione di intenti, i decreti delegati avrebbero già sciolto i due nodi fondamentali della sua applicazione, che chiamerò nodo della perequazione e nodo della chiusura.

Nodo della perequazione. E' ragionevole che i territori più poveri, avendo un gettito potenziale minore, ricevano una sorta di contributo di solidarietà da un fondo perequativo, alimentato dal gettito dei territori più ricchi. Ma non è mai stato chiarito in modo esplicito se la perequazione dovrà colmare la capacità fiscale mancante, dovuta al fatto che il territorio debole ha redditi più bassi, o dovrà colmare invece il gettito mancante, che spesso dipende anche, in misura tutt'altro che trascurabile, dalla maggiore evasione fiscale.

Esempio: il comune X ha un fabbisogno standard di 100, una capacità fiscale di 70, un gettito di 40 (perché l'evasione fiscale è molto alta). Il fondo perequativo gli assegna solo 30 (100-70=30) o gli assegna 60 (100-40=60) ? Nel primo caso si crea un incentivo a combattere l'evasione fiscale, nel secondo caso l'evasione fiscale è premiata. Il primo meccanismo è virtuoso, ma difficile da mettere a punto perché presuppone la conoscenza della capacità fiscale di un territorio relativamente a uno specifico gruppo di imposte (quelle immobiliari, nel caso dei comuni). Il secondo meccanismo è vizioso, ma facile da applicare perché il gettito, a differenza della capacità fiscale, è perfettamente noto. Il rischio è che si vada verso una soluzione ibrida, in cui il meccanismo vizioso (basato sul solo gettito) viene corretto con un meccanismo premiale, che dà qualche contentino ai comuni che riescono a dimostrare di aver contribuito alla lotta all’evasione fiscale. Sarebbe una vera sciagura, se non altro perché la determinazione delle cifre spettanti a ogni comune - anziché essere automatica - avrebbe una componente negoziale molto rilevante, con conseguente aumento dell'arbitrarietà e dell'incertezza legate ai capricci della politica.

Nodo della chiusura. Contrariamente al governo, non penso che il difetto principale della "finanza derivata", ossia del sistema che è stato in vigore in Italia negli ultimi 40 anni, sia il peso eccessivo dei trasferimenti statali rispetto alle entrate proprie delle amministrazioni locali. E conseguentemente non penso che, riducendo i trasferimenti dal centro e aumentando i tributi locali, Regioni, Province e Comuni si metteranno in quadro. Il vero difetto del vecchio sistema, che potrebbe benissimo riprodursi nel nuovo, è la mancanza di un meccanismo automatico - fissato da una norma perentoria e inaggirabile - che specifichi come si chiudono i conti. Un meccanismo che escluda l'intervento salvifico dello stato centrale e obblighi l'amministratore locale responsabile del deficit a far pagare ai suoi cittadini un'imposta specifica, esplicitamente collegata al deficit stesso. Una sorta di "imposta di ripiano" (IdR), che scatta immediatamente e inesorabilmente dopo la pubblicazione del bilancio consuntivo di ogni anno. Un'imposta che potrebbe anche, in caso di avanzo di bilancio, capovolgersi in un'imposta negativa, ossia in un assegno (beneficio) staccato a ogni cittadino a certificazione del buon governo.

Conclusione ?

Nessuna, per ora. Solo la convinzione che senza numeri precisi, senza meccanismi automatici - primo fra tutti l'imposta di ripiano - la nostra fiducia nei benefici del federalismo fiscale resta un puro atto di fede.

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