sabato 21 agosto 2010

«Le parolacce e la libertà d'espressione»


Caro direttore,

Claudio Magris, nell'editoriale pubblicato ieri in prima pagina, accusa me e un paio di colleghi di maggioranza, di essere persone volgari, scurrili, di violare le regole del vivere civile. Nei miei confronti l'autore chiede una punizione esemplare, addirittura sanzioni automatiche, per aver usato, in una recente intervista, la parola «merda» riferendomi all'onorevole Fini.

Sono innanzitutto stupita che uno scrittore, che dicono aver sfiorato il premio Nobel, invochi la censura e il ripristino dell'inquisizione, il tribunale che nel Medioevo infiggeva pene corporali nei confronti di chi fosse stato sorpreso a pronunciare parole indicibili. Magris però distingue. Ci sono parolacce d'autore che hanno diritto di cittadinanza, quelle pronunciate, scritte e urlate dalla casta che lui rappresenta, cioè quella degli intellettuali. Le stesse, però, in bocca al popolo (l'unica casta alla quale mi sento di appartenere) diventano volgarità da punire. Le prime sono addirittura espressione di nobiltà perché - scrive - l'intellettuale è in grado di usarle come reazioni innanzi a pericoli o infamie intollerabili. Evidentemente, per lui, il fatto che il presidente della Camera venda a una società di un paradiso fiscale una casa non sua e che poi questa finisca al cognato non è una infamia, il fatto che non spieghi non è un pericolo per la trasparenza e la dignità dell'istituzione che rappresenta. Io invece ritengo la cosa gravissima e quindi rivendico la licenza poetica che Magris concede a Dante, Gadda e Benigni. Su questo (e solo su questo) la penso come il filosofo Herbert Marcuse, che sdoganò il turpiloquio politico per privare i capi dell'alone ipocrita di pubblici servitori che hanno a cuore solo gli interessi della comunità.

Trovo poi sospetto che Magris, uomo politicamente di parte (fu senatore con la sinistra prodiana), metta al rogo solo persone del centrodestra e non abbia sentito il bisogno di indignarsi quando a insultare pesantemente sono stati suoi colleghi di sinistra, come Romano Prodi (vaffanculo in aula a un collega), Bersani (Gelmini rompicoglioni), D'Alema (vai a farti fottere al condirettore del «Giornale») e via dicendo. Già sospetto dei moralisti, da quelli a corrente alternata poi è meglio stare alla larga, perché, come scrive Magris, a una certa età ognuno è responsabile della sua faccia. E la sua non mi piace. Rivendico la mia libertà di espressione e la mia dignità, perché, come scrisse John H. Jackson, padre della moderna neurologia, «colui che per la prima volta ha lanciato all'avversario una parola ingiuriosa invece di una freccia è stato il fondatore della civiltà».

Ringrazio la signora Santanchè per l'attenzione e per la sua lettera che conferma il mio articolo. (c. m.)

Daniela Santanchè
21 agosto 2010

2 commenti:

Francy274 ha detto...

Haspiterina! Come volevasi dimostrare, la classe non è acqua.. e la signora non ne possiede neanche un'oncia!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

VERO, C'E' UN AGGETTIVO CHE SI PUO' USARE, COMINCIA CON Z E FINISCE CON A!