di Monica Raucci
Palestra di 580 metri quadri, un campo da calcio in erba sintetica con tribuna e spogliatoi, un teatro e un cinema, un’area gioco per i ragazzi. Benvenuti nel nuovo carcere di Trento.
Una struttura fantasmagorica, con celle grandi quanto camere di albergo, un miraggio in un Paese in perenne emergenza detenzione. È costata 112 milioni e mezzo e lo Stato non ci ha messo un euro. È il primo carcere interamente finanziato da una Provincia, che ha fatto davvero le cose in grande. Se non fosse che rischia di non aprire mai per mancanza di personale: può ospitare 244 detenuti, avrebbe bisogno di 200 nuovi agenti, il Ministero della Giustizia è disposto a man-darne 20. Ma Trento ha bisogno di aprire al più presto. La situazione nel vecchio carcere è insostenibile : 155 detenuti in una struttura che può ospitarne al massimo 90, una miccia a rischio esplosione: lo scorso anno c’è stata una rivolta tra i detenuti, con tanto di denuncia e una richiesta di indennizzo per le "condizioni di vita che non possono essere definite accettabili".
Il carcere di Rovereto, a una trentina di chilometri da quello di Trento, non sta messo meglio: sono in media 90 i detenuti, dovrebbero essere trenta in meno.
E COSÌ
UNA struttura dall’aspetto di un resort e la sicurezza di un Alcatraz: le aperture delle celle sono controllate da un sistema elettronico, 238 le telecamere interne. I vetri sono antiproiettile e tutti a risparmio energetico. Ma questa è anche la storia emblema di uno Stato dove il federalismo funziona a metà: ente locale e governo vanno a due velocità, o, quando va meglio, non comunicano. Gli agenti fino a oggi non ci sono. Ne servirebbero in tutto 350, sono un centinaio quelli di stanza al vecchio carcere di Trento, quindi ne mancano 250.
Ma quando Il Fatto prova a far chiarezza con il ministero della Giustizia, inizia il balletto dei numeri: “Ci sono 103 operatori nel carcere di Trento e 59 in quello di Rovereto, che andrebbe chiuso. Più 20 che manderemo, sono 182”. “Sono 150 in tutto gli operatori disponibili, perché molti sono distaccati – replica Massimiliano Rosa del Sappe di Trento, il sindacato della polizia penitenziaria - e poi il Ministero fa i conti senza l’oste: i dipendenti del carcere di Rovereto non hanno intenzione di andare a Trento, non sono mica pedine che il Governo può spostare a suo piacimento”.
SINDACATI e Ministero si sfidano sui numeri, in un Paese dove perfino le cifre diventano dinamiche e dove per intervistare la direttrice delle carceri di Trento e Rovereto Antonella Forgione bisogna assistere a un insolito scarica-barile con il Ministero. Ma il fatto vero è che i 244 detenuti quel carcere li ospita solo sulla carta, e nel migliore dei mondi possibili, perché la storia delle carceri italiane insegna che alla fine saranno molti di più. Attaccarsi alle poche decine di unità non serve. Quella struttura avrebbe bisogno di almeno 200 agenti nuovi.
“Trento finirà come Ancona e Rieti – profetizza Donato Capece, segretario del Sappe - dove è aperta solo una sezione e 500 posti letto vuoti, perché su 100 detenuti ci sono 80 agenti”.
Il presidente della Provincia di Trento Lorenzo Dellai non vuole sentirne parlare di apertura parziale. Come biasimarlo, ha speso 112 milioni e mezzo di euro e non si arrende all’idea di aver costruito una cattedrale nel deserto.
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