di Gianfranco Pasquino
Che cosa hanno in comune (in rigoroso ordine alfabetico) Casini, Fini e Rutelli? Grosso modo appartengono alla stessa generazione politica e vengono dalla Prima Repubblica. Hanno di fronte a loro almeno altri quindici anni di vita politica e debbono trovare come impiegarli in maniera soddisfacente. Hanno avuto già cariche istituzionali, in ordine di importanza, Fini più di tutti, Casini e Rutelli alquanto meno e forse si sentono sottovalutati (secondo me, no: hanno avuto il giusto e, forse, persino qualcosa di più). Da qualche tempo, stanno tentando, in misura variabile, di dare vita a una aggregazione che avesse/abbia la loro impronta. Il progetto di Casini è il più vecchio e il più tradizionale in assoluto: ricostruire un Grande centro che, preferibilmente da posizioni di forza, contratti a destra e a sinistra , imponendo le sue, poco originali, politiche. Ma se i tre procedessero insieme verso il Terzo polo, allora Casini apparirà il vero “centro” di quel polo. Variamente miracolato, inclusa la candidatura a Palazzo Chigi nel 2001, Rutelli voleva un ruolo centrale nel Partito democratico, illusione decisamente velleitaria. Dei tre il progetto più ambizioso è quello di Fini: creare un partito di destra moderna, decente, europea, potenzialmente gollista, capace di imporre e attuare una riforma costituzionale, ma per conseguire l’obiettivo deve disarticolare il Pdl, non “articolare” un polo centrista che, al massimo, costituirebbe una tappa nella transizione. Casini non ha finora ottenuto nulla. Pontifica e galleggia nel centro. Rutelli si è fatto una piccola associazione, ugualmente senza influenza. Invece, grazie alla sua capacità di rischiare, Fini ha messo in movimento tutto il quadro politico. Ha già anche ottenuto un grande risultato, aprendo una crisi, non soltanto numerica, ma politica nel centrodestra e soprattutto nel Popolo della Illibertà e delle Impunità. Adesso, il suo problema consiste nello sfruttare il piccolo, ma vero, capitale politico che ha accumulato.
La somma inferiore agli addendi
TUTTI DICONO di sapere che in Italia, invece di avere effetti trainanti e moltiplicativi, le somme di partiti e partitini finiscono per essere sempre inferiori agli addendi. Anche in questo caso, non è un problema di numeri, ma di capacità di suscitare entusiasmi e attrarre persone. Il Partito democratico è l’ultimo fulgido esempio di un “amalgama mal riuscito” (cito, con pudore, D’Alema). Adesso, lo segue anche il Pdl. Il “predellino” si è rivelato una base tanto improvvisata quanto fragile. Non si capisce perché l’eventuale Terzo polo, più eterogeneo di Pd e Pdl, e attualmente una improvvisata aggregazione parlamentare, dovrebbe avere maggiore successo scendendo sul territorio dove si fa politica. Soprattutto, è sorprendente che i commentatori e gli stessi politici, i quali, pure, dovrebbero sapere fare due conti, non guardino agli elementi strutturali della situazione italiana. Per quanto brutta, sporca e cattiva, la legge elettorale vigente spinge in maniera chiarissima verso la bipolarizzazione. Il premio di maggioranza va alla coalizione che ottenga almeno il 25 per cento dei voti e un voto più dei concorrenti. Stando così le cose, appare improbabile che il Terzo polo riesca a sopravanzare i due maggiori concorrenti. Dunque, il Pdl, anche con meno voti, vincerebbe sicuramente alla Camera. Se necessario potrebbe anche opportunamente rivisitare i meccanismi (sbagliati in partenza) di attribuzione dei premi nelle regioni per il Senato. La politica non è mai affare di soli numeri. Dunque, di che cosa andrebbero a parlare agli elettori Casini, Fini e Rutelli? Racconterebbero che è ora di rompere il triste bipolarismo all’italiana, una tematica assolutamente entusiasmante e probabilmente neanche condivisa? Spiegherebbero che bisogna creare partiti non-cesaristici, ma democratici, anche se in quanto a democrazia nei loro partiti gli ex-democristiani, gli ex-comunisti, gli ex-neofascisti non hanno uno splendente pedigree in materia? Che, pur essendo tre galli nello stesso pollaio, pardon, polo, ritengono essenziale diminuire il tasso di personalizzazione della politica italiana? Naturalmente, racconterebbero tutto questo un giorno sì e l’altro pure nei talk-show televisivi fino a sostenere che per ricostruire la politica, bisogna lanciare la candidatura di un non-politico, Montezemolo (o Draghi, ma se fosse per Casini verrebbero buoni anche Fazio e Ruini...). Altrimenti, chi di loro dovrebbe essere il candidato, dovranno necessariamente averne uno, a Palazzo Chigi?
Temi, progetti e distanze
QUANTO alle tematiche, Casini e Rutelli condividono quello che Fini sostiene sulla bioetica? E Fini è convinto di avere il sostegno degli altri due per una incisiva riforma istituzionale sul modello del semipresidenzialismo della Quinta Repubblica? Certo, potrebbe non essere difficile fare una campagna elettorale contro il Pdl, soprattutto contro il berlusconismo, che due di loro hanno peraltro accettato e gradito, e contro il Pd. Fini e Rutelli potrebbero raccontarne delle belle sui partiti che hanno contribuito a formare, ma agli elettori sicuramente interessa di più la soluzione di alcuni problemi economici e sociali piuttosto che l’espressione di critiche (sacrosante, aggettivo che farà felice Casini) ai due maggiori partiti e di rancore nei confronti dei loro leader. Né la storia politica di Casini né quella di Rutelli mi sembrano caratterizzate da prorompenti e scintillanti capacità innovative. Basteranno le indicazioni di buon senso moderato di Fini in materia di immigrazione e di legalità a provocare un’ondata di travasi elettorali da Pd e Pdl verso il Terzo polo? Al momento, la risposta non può essere positiva e, soprattutto, non deve sottovalutare che la cosa che, in questi lunghi anni post-1994, continua a riuscire meglio a Berlusconi è proprio la campagna elettorale. Questa volta avrà anche l’arma appuntita del tradimento del mandato elettorale.
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