BILL EMMOTT
La scommessa è straordinaria: tagliare 500.000 posti di lavoro nel pubblico impiego, nell’ambito di un programma di radicale riduzione della spesa, con i bilanci dei ministeri ridotti in media di circa il 20 per cento nell’arco di quattro anni. In più, è una scommessa affrontata con un’audacia e una determinazione che pochi si aspettavano quando il partito Conservatore di David Cameron ha fallito l’obiettivo di vincere con una maggioranza netta nelle elezioni generali britanniche di maggio e ha dovuto formare una coalizione con il piccolo partito Liberal Democratico, dando vita alla prima coalizione di governo del Paese in 65 anni.
All’epoca si era ritenuto che i compromessi necessari in una coalizione avrebbero reso cauto il governo. Invece è accaduto l’opposto: questo governo è assai più coraggioso di quanto fosse il Labour di Tony Blair nel 1997, nonostante Blair avesse conquistato un’enorme maggioranza. Questo è un paragone interno: Cameron il deciso contro Blair il timido. Ma c’è anche un paragone esterno: i profondi tagli britannici, finora senza alcuno sciopero o alcuna protesta reale, mentre
Il paragone può senz’altro far piacere ad alcuni inglesi tradizionali, orgogliosi del nostro approccio al dolore e al sacrificio stoico e «stiff upper lip» (impassibile), rispetto a un approccio della Francia che vedono come iper-eccitabile ed egoista. La domanda importante però non riguarda lo stereotipo: è invece chiedersi se questa scommessa britannica avrà realmente successo, e ancora di più se sarà veramente messa in pratica.
Di certo George Osborne, il trentanovenne Cancelliere dello Scacchiere (cioè il ministro delle Finanze), sembra determinato e ha il sostegno non solo del primo ministro David Cameron, ma anche del leader dei Lib-Dem Nick Clegg. L’audacia di questa coalizione di governo emerge, principalmente, dal fatto che hanno vinto più del 69 per cento dei voti nelle elezioni di maggio, ma anche dalla convinzione che grazie alla crisi finanziaria e alla recessione del 2006-2009, dolori di bilancio sono inevitabili, ed è quindi meglio fare i conti presto con le cattive notizie (quando è ancora possibile dare la colpa dei sacrifici al governo Labour precedente).
C’è tuttavia chiaramente un altro fattore all’opera, soprattutto nelle menti del partito Conservatore. Ed è il fatto che l’atmosfera generale di crisi economica e di necessità di austerity e di stringere la cinghia, offre un’opportunità speciale per riforme strutturali dell’intero settore pubblico, in particolare per quello che riguarda i pagamenti del Welfare. Sotto la cappa della riduzione delle spese possono essere fatti cambiamenti fondamentali, in particolare quelli che riducono o aboliscono i versamenti di Welfare che vanno anche a persone che sono lungi dall’essere povere. Pagamenti di questo genere sono un’eredità della convinzione britannica post-1945 che per ottenere un ampio sostegno al Welfare state ciascuno doveva trarne dei benefici, anche se erano ricchi. Neppure Margaret Thatcher provò ad attaccare questo credo, durante il drammatico periodo in cui fu in carica negli Anni Ottanta.
Quindi, funzionerà e sarà davvero messo in pratica? La prima di queste domande è in parte economica e in parte politica. La ragione economica per questi tagli enormi è principalmente che la vasta crescita del debito pubblico britannico dal 2006 è pericolosa, e che se viene lasciato alto - come è in Italia - allora gli investitori nei titoli del governo britannico potrebbero forzare i tassi di interesse a salire molto più in alto, provocando una nuova recessione. Tuttavia non è chiaro che questo sia vero. O almeno, non vero abbastanza da richiedere tagli così drastici. Il debito pubblico britannico è l’80% del Pil, più o meno lo stesso della Germania e molto meno del 120% dell’Italia. La sterlina dal 2007 si è deprezzata di quasi il 20% rispetto al dollaro e all’euro, ma nell’ultimo anno si è in realtà ripresa un po’, quantomeno sul dollaro. Non ci sono segni di una crisi di liquidità.
Per questo, poteva venire adottato un programma alternativo di riduzioni della spesa più morbide, forse con la promessa di renderle più dure se e quando l’economia fosse diventata più forte. Avrebbe presupposto un rischio: che gli investitori cambiassero idea e cominciassero a vendere obbligazioni britanniche come hanno fatto con quelle greche. Ma anche la linea politica attuale prevede rischi: che tagli di questa severità provochino essi stessi una nuova recessione. E se come risultato la disoccupazione crescesse, ciò andrebbe a sua volta ad aggiungersi alla spesa pubblica, facendo potenzialmente mancare in ogni caso al governo i propri obiettivi di bilancio.
La ragione politica, però, è quella che ha realmente vinto: è che l’opposizione Labour non può in realtà criticare questo piano energicamente o in modo convincente, dal momento che i tagli sono solo di pochi punti percentuali più severi del piano che il governo Labour aveva promesso prima delle elezioni. Per questo, l’opportunità per riforme strutturali può essere afferrata senza un diretto rischio politico.
Il rischio economico può inoltre venir affrontato nel corso dei prossimi anni. Se l’economia britannica vacilla, allora la politica monetaria può venire resa più di espansione - un vantaggio dell’essere fuori dall’euro - e in effetti la manovra può venire ammorbidita, o rinviando alcuni tagli alla spesa o, più probabilmente, tagliando le tasse. È qui che emerge il dubbio economico che questo programma sia veramente portato a termine nella sua interezza: la macchina fiscale di Osborne ha una retromarcia, e se è necessario può usarla.
Dietro tutto lo stoicismo britannico, però, c’è anche un dubbio politico. Il fatto che non ci siano stati finora scioperi o proteste, non significa che non avverranno. È cruciale il fatto che il governo non stia tagliando né la spesa sanitaria, né i principali finanziamenti per l’educazione, mosse che sarebbero entrambe profondamente impopolari. Il governo spera che il fatto che il sacrificio sarà ampiamente condiviso da tutti, incluse le famiglie più ricche, renderà più contenute le proteste. Ma è tutt’altro che certo. E può benissimo darsi che la scommessa più grande di tutte in questo programma sia il taglio nel bilancio delle forze di polizia, pari al 4% annuo. L’ipotesi è che questo rimuoverà la «burocrazia», piuttosto che tagliare la forza lavoro della polizia. Ma sono i poliziotti stessi a sostenere che si tratta di un’illusione.
La legge e l’ordine sono sempre un tema sensibile. Se la polizia comincia a protestare, o anche se minaccia di scioperare, allora il livello generale effettivamente straordinario di sostegno al programma di Osborne, o quantomeno la sua accettazione, potrebbero cominciare a collassare. La scommessa è di quelle enormi. E il gioco è solo cominciato.
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