La madre di Gianni, le sue traversie e un libro stranamente passato nel silenzio
di Malcom Pagani
Sulla dinastia Agnelli, declinata al passato remoto e prossimo o proiettata verso il futuro, si sa e si prevede quasi ogni cosa. Amori e dolori, declino, tragedie, dominio e solitudini. In pagina, almeno fino a quando uno dei membri non pagava per eliminare notizie e fotografie disdicevoli (e succedeva spesso) anche gli spifferi. Silenzio sospetto al contrario, escluso un lungo ed entusiasta speciale de “Il Foglio” su un libro uscito all'alba dell'estate. Un volume rigoroso e sorprendente, scritto da Marina Ripa di Meana (con introduzione di Carlo) e Gabriella Mecucci, ex giornalista dell'Unità, diretta filiazione di uno studio intrapreso tra emeroteche, archivi di Stato, stralci dell'Omnibus di Longanesi e testimonianze dirette. “Virginia Agnelli, madre e farfalla”, Minerva, è un viaggio nei segreti della madre di Gianni, la stessa donna adorata da un’altra figlia, la sorella Susanna che in “Vestivamo alla marinara”, restituì con precisione, peculiarità e stravaganza della regina di un dio minore: “Era bella, fragile, aveva trentacinque anni: era la madre, praticamente squattrinata di sette figli che avrebbero un giorno ereditato un’immensa fortuna”.
COME GIANNI che dopo averla pianta (Virginia morì nell'immediato dopoguerra sulle curve tirreniche del Sorpasso di Risi), dormì per anni con il suo ritratto alle spalle, anche Suni adorava Virginia. Bella, di uno splendore acerbo e selvaggio. Una luce di frontiera, di natali misti (Bourbon del Monte dal lato paterno, Campbell e pianure americane dal materno) e anticonformismo oggettivo. Virginia detestava Torino, le sue regole e l’inchino obbligato agli Agnelli che le appariva come il retaggio di un feudalesimo planato sulla realtà a secoli di distanza. Il cappello in un angolo, le nudità, le feste nella casa romana ai piedi del gianicolo, il matrimonio con Edoardo Agnelli, erede del fondatore della Fiat, Giovanni, sposato nel 1919 e non alieno, come tanti altri, al tragico destino della famiglia. Edoardo morì nel luglio del ‘35. Incidente aereo a Genova e dolore profondo che a uno dei suoi sette figli, Giorgio, costò emarginazione, uso di allucinogeni e scomparsa precoce e silenziosa, con diagnosi schizofrenica in una clinica svizzera, nel 1965.
VIRGINIA si rialzò grazie all’amore per Curzio Malaparte, incontrato pochi mesi dopo e in lotta con il casato torinese per gli anni a venire : “meglio un giorno da leone che cento da Agnelli”. Passione reale, testimoniata dall’autore della Pelle, sulla carne, tra le righe: “Fin dal primo giorno, hai capito che io non sono soltanto un uomo: ma donna, cane, albero, pietra, fiume”. In prosa e in poesia: “Solo per te, Virginia, solo per te/ aprirò il cielo notturno alla mia fronte/ il sapore del mio sangue solo per te/, Virginia brucerà la bianca notte d’estate”. E nonostante per Curzio lo slancio sentimentale fosse più cerebrale che fisico, il sesso un rischio: “Ogni volta è un giorno in meno che si vive”, addirittura un impedimento nella scala dell’affermazione sociale e la misoginia di fondo, una certezza anche epistolare: “Caro Nantas (Salvalaggio ndr) la molla della gloria non è la donna come dicono i fessi (Dante, Petrarca) ma la puttana”, l’intesa con Virginia fu un lampo. Il Narciso che cede all’unica femmina che non lo adula, come in un gioco di specchi in cui la propria immagine, per una volta, non veste alla zuava. Assatanato, potentissimo, vendicativo, allevato alla scuola Dio e moschetto, monastico fino all’ascesi (memorabile la descrizione del parco pasto, sempre il solito, carciofi, olio e pomodori accompagnati da Punt e Mes e canzonette alla radio), duro e addolorato dalla scomparsa degli eredi (Edoardo era stato preceduto da Aniceta) Giovanni Agnelli (che in precedenza, allo spirito coraggioso di Virginia, in occasione del lucroso affaire Sestrière era ricorso senza pregiudizi) tentò in ogni modo di interrompere la relazione tra i due e impedirne il matrimonio. E per prima cosa, puntò al cuore del problema: l’affidamento dei figli di Virginia. L’ordinanza del presidente del tribunale per i minori di Torino del dicembre 1936, al riguardo, non lasciava spazio alle interpretazioni: “Ritenuto che la madre dei minori, a breve distanza dalla morte del marito ha contratto una relazione che tuttora perdura, i cui effetti non possono che essere gravemente pregiudizievoli al benessere dei minori (...) gli stessi possono essere affidati con piena tranquillità alle cure del nonno paterno, Senatore Giovanni Agnelli”. Un sequestro tra automi in divisa sensibili alla sola ragione del comando, treni a vapore e fratture sentimentali che si ricomporranno soltanto per mero calcolo perché Virginia, ritornata a Roma (dove era protetta e benvoluta) ottenne una transazione su cui molto pesò il parere della prole e quello di Mussolini, da cui (è certo) Virginia si recò personalmente e che come molti altri, dall’indomabilità della donna fu conquistato.
E DA ROMA, dipanando trame che sarebbero state un capitolo di un film sugli Agnelli se solo Gianni, l’avvocato, non avesse comprato la sceneggiatura già scritta da Bolognini e tratta da “Vestivamo alla marinara” per metterla in un cassetto, Virginia si adoperò per girare un altro copione, l’operazione Farnese, l’incontro segreto tra Pio XII e il capo delle SS in Italia, Karl Wolff, allo scopo di evitare alla città la devastazione dei barbari in ritirata. Forse per il timore di vedere il nome del casato compromesso con il nazismo (ma al nonno accadde) o per un’altra piega dell’intimità, di Virginia si è saputo sempre poco. Nel libro dell’ex signora Punturieri e di Mecucci, più in là dei documenti, brilla il ritratto di un’epoca in ombra. Le vacanze a Forte dei marmi, i teli africani, il due pezzi quando il bikini era poco meno di un’eresia, le rivalità tra fratelli, le carezze sulla spiaggia, le curve affrontate a vento in faccia e l’anticonvenzionalità come abito da indossare contro l’ipocrisia di un universo che si vedeva e si desiderava immutabile. Di Virginia non parla nessuno. Era una donna libera. Irrequieta. Spiritosa. Da dimenticare.
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