sabato 23 ottobre 2010

CARCERI, L’ALLARME DELLE PROCURE “BASTA ARRESTI, NON C’È PIÙ POSTO”


Il rapporto di Antigone: 15 mila in attesa di giudizio

di Silvia D’Onghia

Ci sono anomalie nelle anomalie. Nell’ultimo anno, siamo stati abituati ad aggiornare in negativo il numero record dei detenuti nelle 206 carceri italiane: oggi sono 68.527 le persone recluse. Eppure, c’è da registrare un dato particolare. Per tutto il 2008 i detenuti sono cresciuti di 458 unità al mese. Nel 2009 questo numero è salito a 555, nel primo semestre 2010 a 607. Sempre di più. Poi, però, un crollo: nell’ultimo trimestre la cifra si è ridotta a 89 persone in più ogni trenta giorni. Bene, si dirà, visto il sovraffollamento. Ma questo non significa che ci sia stato un corrispondente crollo del crimine: “Non c’è mai un legame diretto tra la produzione di crimine e la produzione di carcere – spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che ieri ha presentato il settimo rapporto annuale sulle condizioni di detenzione – la verità è che sono arrivate le segnalazioni delle Procure, per esempio quelle venete: attenzione, sono finiti i posti. Un’assunzione di responsabilità”.

Un sistema che non funziona

IL RAPPORTO regala considerazioni importanti. Oltre il 43 per cento dei detenuti è composto da imputati (ed è un altro record europeo di cui non andare troppo fieri); 15 mila persone sono in attesa di primo giudizio. Soltanto 7.800 sono gli affidamenti in prova, 4.692 le detenzioni domiciliari. Significa che il sistema non funziona. Il carcere diventa il luogo in cui rinchiudere la gente, anche coloro che – secondo il nostro ordinamento – sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. E “i penitenziari sono diventati un’enorme macchina di stratificazione sociale”, racconta il presidente di A buon diritto Luigi Manconi. Perché in cella finiscono tossicodipendenti, stranieri e malati psichiatrici, il 70 per cento della popolazione carceraria. Sono le nostre leggi ad imporlo, la Fini-Giovanardi sulla droga (oltre 28 mila i reclusi per averla violata) e il pacchetto sicurezza di Maroni, per cui viene mandato in galera chi è inottemperante al decreto di espulsione o i recidivi. Gli stranieri sono oltre 25mila, contro i 14 mila di dieci anni fa. Dentro finiscono soprattutto marocchini e rumeni. Numeri che diventano drammatici quando si osservano le celle di dieci metri quadrati con i letti a castello a tre piani. O quando si pensa ai tagli imposti dal governo anche all’amministrazione penitenziaria, che fatica anche a comprare la carta igienica. Per non parlare della carenza di organico tra gli “addetti ai lavori”. I magistrati di sorveglianza sono 178, a fronte dei 204 previsti. Ognuno deve occuparsi in media di 394 detenuti: considerando che ogni detenuto presenta circa dieci domande all’anno (misure alternative, ricoveri, reclami), ogni giudice deve portare avanti circa quattromila procedimenti.

Alla polizia penitenziaria non va meglio: l’organico previsto è di 42.268 unità, i poliziotti in servizio sono 37.348, cui vanno sottratti circa tremila uomini non in servizio attivo. I sindacati lo denunciano da tempo: se nelle carceri non si scatenano rivolte, o se si riescono a salvare tante vite, è solo grazie alla dedizione del personale. E che dire degli educatori e degli assistenti sociali? Che c’è un operatore ogni 60 detenuti. Numeri che non hanno bisogno di commento.

Eppure, la politica esprime una “serena indifferenza”, come sostiene Antigone.

L’indifferenza della politica

IL PIANO carceri, tanto reclamizzato,è fermo. “Due anni fa è stata proclamata l'emergenza – prosegue Gonnella – ma ad oggi i tre pilastri su cui si basa il piano sono bloccati. Nessuna nuova costruzione carceraria, nonostante lo stanziamento di 500 milioni di euro, nessuna assunzione di poliziotti, nessuna legge per la detenzione domiciliare (discussione avviata e poi arenatasi in Parlamento)”. E a poco servono le pur lodevoli iniziative dei Radicali, come quella del “Ferragosto in carcere”, quando illustri parlamentari si sono resi conto di persona della situazione.

Antigone fornisce un altro dato interessante, quello relativo alla Cassa delle Ammende, ovvero le risorse che derivano dalle ammende pagate dai condannati. Soldi destinati a finanziare programmi di reinserimento. Nel biennio 2009/2010 sono stati finanziati 20 progetti, per un totale di oltre 17 milioni di euro (in media 850 mila euro ciascuno). Di solito questi programmi nascono all’interno della stessa amministrazione penitenziaria. Ci sono, però, due eccezioni, guarda caso siciliane come il ministro Alfano. Quasi cinque milioni di euro sono andati all’Agenzia nazionale reinserimento al Lavoro, voluta dal Guardasigilli a settembre 2009, promossa dalla Fondazione Monsignor Di Vincenzo di Enna e data in gestione al Movimento del Rinnovamento dello Spirito Santo. “Un soggetto praticamente sconosciuto in ambito penitenziario, che ad oggi ha al proprio attivo un inserimento di soli 12 detenuti”, fa sapere Antigone. La seconda eccezione è costituita dal progetto “Luce e libertà”, proposto dalla Usl 5 di Messina e finanziato con quasi 4 milioni di euro. Quando la Sicilia chiama, Alfano risponde.

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