L’accusa: “Ridotta l’indipendenza del capo dello Stato”
di Eduardo Di Blasi
La presa di distanza del Capo dello Stato dalla proposta di legge costituzionale 2180/S (più nota come Lodo Alfano “costituzionalizzato”), attualmente in discussione presso la commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, è netta: “La decisione assunta dalla commissione da lei presieduta - scrive Giorgio Napolitano al presidente di questa Carlo Vizzini - incide, al di là della mia persona, sullo status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni”. E motiva: “Tale decisione, che contrasta con la normativa vigente risultante dall’articolo 90 della Costituzione e da una costante prassi costituzionale, appare viziata da palese irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento in seduta comune di far valere asserite responsabilità penali del Presidente della Repubblica a maggioranza semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste dal citato articolo 90”.
L’ARTICOLO 90 della Carta, quello che riguarda l’“irresponsabilità” del Presidente della Repubblica, che, nell’esercizio delle sue funzioni, può essere messo in stato d’accusa solo “per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”, non prevede infatti che la più alta carica dello Stato possa essere processata “dal Parlamento per presunti reati penali che esulano dai due espressamente indicati dall’articolo 90 (l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione). Un problema, che, si ricorderà, già avevano sollevato almeno due costituzionalisti: il professor Michele Ainis, dalle colonne de La Stampa, e il senatore del Pd Stefano Ceccanti che aveva provato ad ovviare alla questione proponendo un emendamento (poi ritirato dal proprio gruppo dopo le perplessità espresse anche dal Fatto Quotidiano) che prevedeva di “allargare” lo scudo al Colle, sottraendolo, con legge costituzionale apposita, a processi di qualsiasi natura (fatti salvi i due dell’articolo 90). Lo stesso Ceccanti oggi conferma che la questione da lui sollevata era un problema di architettura costituzionale reale, ma sottolinea come adesso non possa che essere cambiato in aula: “In commissione quei provvedimenti li abbiamo già approvati e non si può tornare indietro”. UN PROBLEMA procedurale non da poco, se si pensa che, nonostante lo stesso Napolitano abbia chiarito come voglia “rimanere estraneo nel corso dell’esame al merito di decisioni delle Camere”, è ovvio che la sua lettera resti stringente per il Parlamento. Così, se lo stesso Vizzini prova a mantenere la forma che il ruolo gli impone (“Non sarà opportuno andare oltre una semplice presa d’atto, senza valutazioni nell’ambito di un iter legislativo in corso, che sarebbero in contraddizione con la distinzione assoluta, ribadita dallo stesso Capo dello Stato, tra le sue prerogative e quelle del Parlamento”), e il presidente della Camera Gianfranco Fini augura che le Camere prendano atto “delle valutazioni sempre sagge del Capo dello Stato”, è il Pdl a trovarsi davanti a un bivio non da poco. Mentre infatti i capigruppo di Camera e Senato Gasparri e Cicchitto annunciano che troveranno delle soluzioni per venire incontro alle richieste che arrivano dal Colle, appare sempre più chiaro il messaggio lanciato dal Colle: è il Presidente del Consiglio che risponde alla maggioranza parlamentare. Quello del Presidente della Repubblica è un ruolo diverso. La capogruppo Pd Anna Finocchiaro e l’Idv Francesco Pardi chiedono che il Pdl ritiri definitivamente il testo.
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