giovedì 21 ottobre 2010

Todo lodo


di Marco Travaglio

Corriere della Sera: “Sì al Lodo Alfano retroattivo”. Repubblica, più fantasiosa: “Sì al Lodo Alfano retroattivo”. La Stampa: “Stop retroattivo ai processi”. Il Messaggero: “Sì al lodo retroattivo, ma è lite”. Il Giornale: “Lo scudo è retroattivo”. Libero: “Primo sì finiano al Lodo Alfano retroattivo”. L'Unità: “Stop retroattivo ai processi”.

Il bello dei titoli e dei sommari della stampa nazionale è che chi li fa non ha la più pallida idea di ciò che scrive né un pizzico di memoria storica; così come i presunti oppositori del Pd, che menano scandalo per la retroattività perché non osano dire chiaro e forte che la legge è uguale per tutti (infatti Bersani, Violante e altri hanno più volte ripetuto di non essere affatto contrari a uno scudo per le alte cariche dello Stato, o addirittura per tutti i parlamentari, mentre Letta jr s’è detto convinto che B. abbia tutto il diritto di “difendersi dai processi”).

Anzitutto, qui non c’è nessun “lodo”: il lodo è la soluzione a una controversia fra due parti decisa da personalità autorevoli e super partes. Ma qui non c’è alcuna controversia, bensì un impunito che non vuole farsi processare; e nessuna personalità autorevole e super partes, bensì un Alfano qualunque.

Lo scandalo è che il presunto lodo è “retroattivo”? Assolutamente no: una legge fatta per bloccare i processi al premier o è retroattiva o non è. A che gli servirebbe una norma che sospendesse i processi ancora da cominciare, o per reati ancora da commettere, visto che i suoi processi sono già cominciati e i suoi reati già commessi? Tutte le norme ad personam (questa è la quarantesima) varate in 16 anni per salvarlo dai processi erano retroattive (altrimenti non l’avrebbero salvato dai processi). Compresi i precedenti “lodi”, il Maccanico-Schifani e l’Alfano modello base.

La questione dunque non è se la legge costituzionale licenziata martedì dalla commissione Giustizia del Senato debba o meno essere retroattiva, ma se sia giusto, ragionevole, legittimo sospendere i processi per reati comuni a carico dei presidenti della Repubblica e fino al termine dei loro mandati.

La risposta è un No planetario, che viene da tutte le altre democrazie del mondo, nonché dalla Corte costituzionale.

Nessuna democrazia al mondo conosce la sospensione dei processi al premier, ma solo ad alcuni capi dello Stato e solo per delitti “funzionali”, cioè collegati con la carica.

La legge Alfano invece sospende i processi anche al premier e solo per i delitti comuni, cioè scollegati dalla carica. Per quelli “funzionali” contestati ai membri del governo, infatti, la nostra Costituzione già prevede la possibilità che il Parlamento valuti l'eventuale fumus persecutionis e blocchi il processo negando al Tribunale dei ministri l'autorizzazione a procedere (come ha fatto l'altroieri la Camera per Lunardi, peraltro senza adombrare alcun fumus persecutionis); quanto al capo dello Stato, la Costituzione già prevede che non sia responsabile degli atti commessi nell’esercizio delle funzioni presidenziali.

Dunque la legge Alfano concede ai due presidenti l’autorizzazione a delinquere come pare a loro da privati cittadini. Questo è lo sconcio, non la retroattività.

Sulla questione, poi, s’è già pronunciata pure la Corte costituzionale, quando bocciando le porcate Schifani e Alfano ricordò che il presidente del Consiglio non è un “primus super pares” (come sosteneva quel buontempone di Pecorella), ma un “primus inter pares”, dunque non può godere di trattamenti preferenziali rispetto agli altri ministri.

Testuale: “Non è configurabile una preminenza del presidente del Consiglio, che ricopre una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares”.

Quindi la legge costituzionale nasce incostituzionale. Quando la infileranno nella Costituzione, dovranno scriverla con caratteri diversi, magari in gotico, per distinguerla dagli altri articoli. Quelli scritti dai Padri costituenti, non dai figli delinquenti.

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