martedì 23 novembre 2010

90 MILIARDI PER L’IRLANDA MA I MERCATI NON SI FIDANO PIÙ


I soldi promessi dall’Ue restano solo virtuali, Borse scettiche

di Superbonus

Vi fidereste di qualcuno che garantisce per un vostro debitore ma a sua volta deve trovare i soldi in prestito? Probabilmente no ed è per questo stesso motivo che il mercato non si fida dell’Europa e soprattutto non si fida dell’establishment politico ed economico del vecchio continente. Gli annunci domenicali del piano internazionale per sostenere l’Irlanda non danno l’effetto sperato e le Borse europee chiudono in rosso, anche se di poco.

GLI INVESTITORI hanno capito che il Fondo di stabilità europeo può sostenere per un periodo limitato un paio di piccoli paesi dell’Unione ma non tre o quattro. E soprattutto non potrebbe sostenere il peso di una crisi spagnola che sembra avvicinarsi ogni giorno di più. Per capire la fragilità della struttura finanziaria messa in piedi dai tecnocrati di Bruxelles basta ricordare che l’Italia dovrebbe garantire direttamente (sotto forma di stanziamenti) o indirettamente (sotto forma di debito) 74 dei 440 miliardi, cioè la quota di competenza italiana, da utilizzare nel salvataggio dell’Eurozona. Facendo due conti, solo il salvataggio irlandese avrebbe un costo per le nostre scarne finanze di 16 miliardi in tre anni. L’Europa, e con essa l’Italia, hanno bluffato con i mercati finanziari facendo credere che il meccanismo di salvataggio avrebbe garantito la stabilità dei debiti e dei mercati, il bluff ha funzionato per qualche settimana nel caso della Grecia e per poche ore nel caso dell’Irlanda.

I titoli di Stato di Dublino sono stati acquistati nella prima parte della giornata ma il movimento è stato dovuto per lo più a ricoperture di operatori che avevano venduto in precedenza e chiudevano le proprie posizioni sul mercato, i “real money”, cioè gli investitori di lungo termine che investono sulla base delle tendenze macroeconomiche di un Paese non si sono visti. Così come non si sono visti compratori reali dei debiti sovrani di Spagna, Portogallo e Italia.

GLI SPECULATORI hanno deciso di concedere una breve pausa ai governi europei interrompendo le massicce vendite ma non hanno ancora invertito il trend. Non ci pensano proprio a esporsi per cifre rilevanti su titoli europei che non siano tedeschi. Il problema è che Spagna, Portogallo e Italia devono continuare a finanziarsi sui mercati non per effettuare nuovi investimenti ma semplicemente per continuare a pagare il proprio debito pregresso, ogni scadenza obbligazionaria viene rimborsata contraendo un nuovo debito, come una bicicletta in corsa non ci si può fermare all’improvviso altrimenti si cade. Gli Stati Uniti hanno deciso di mantenere la bicicletta in corsa permettendo alla Banca centrale di stampare denaro per comprare i titoli di Stato correndo un grandissimo rischio inflazione. In Europa questo non si può fare, la Bce ha come unico obiettivo di mantenere bassa l’inflazione. E l’ortodossia economica tedesca non ammette eccezioni. I ministri delle Finanze europei sono così costretti a un equilibrismo fra i mercati che chiedono nuove misure e le regole europee che le impediscono. Nascono così improbabili operazioni di salvataggio che possono solo rinviare i problemi di qualche mese.

QUESTO LIMITE intrinseco all’Unione monetaria sta venendo sempre di più allo scoperto e gli investitori chiedono rendimenti maggiori per finanziare Paesi che hanno basse prospettive di crescita economica e di stabilità finanziaria. Al prossimo vertice europeo Germania e Francia chiederanno a tutti i paesi dell’area euro di diminuire il proprio debito per tranquillizzare i mercati, la Banca centrale europea ha già fatto sapere che si aspetta una riduzione dei deficit e del debito nel breve termine. L’Italia arriverà al quel tavolo tentando di valorizzare il basso debito privato a fronte di un enorme debito pubblico, probabilmente riuscirà a non farsi imporre la manovra da 45 miliardi alla quale saremmo obbligati dai rigidi parametri di debito/Pil. Tuttavia è molto probabile che ci venga imposto un piano di austerity di almeno un punto di pil. Una manovra, minimo, di 16 miliardi.

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