ALDO RICCI
Capita di rado di condividere in pieno un articolo come quello che Luca Telese ha dedicato a Roberto Saviano sul Fatto di oggi.
“Anche un programma molto bello e molto seguito – esordisce Telese riferendosi a Vieni via con me, il programma su Rai3 di Fazio & Saviano – c’è qualcosa che può avere il suono della moneta falsa, quella che può illudere la sinistra e, alla fine, farle persino male.”
Ritengo anch’io con Telese che sia più facile dire cosa questo programma non è, piuttosto di quello che vorrebbe essere. Vieni via con me, permeato com’è dall’approccio perbenista & buonista del curato Fabio Fazio, non è un programma giornalistico, non un programma di approfondimento, non un programma militante, nemmeno un programma d’intrattenimento, né una tribuna politica. E dalla melassa che ne consegue trapela un amalgama agrodolce, con tanto di tricolore missato alle risate, una sorta di mix di generi di norma separati & distinti, buono per tutte le stagioni e per tutti gli spettatori sia di destra che di sinistra.
Tutto ciò ben sintetizza la confusione di un paese confusionario che, non contento di non rispettare i tre cardini della divisione dei poteri in cui si dovrebbe articolare uno stato di diritto, confonde gli attori con i presentatori, i protagonisti con le comparse, i comici con i politici, gli scrittori con i giornalisti, gli scienziati con gli intrattenitori e via discorrendo.
Un paese che a scadenze fisse, in genere elettorali, continua a ingaggiare registi, scrittori, scienziati, giornalisti, calciatori – per non dire dalle veline o addirittura da supposte escort, comunque anticipate almeno da una porno star – sottraendoli al loro ruolo e quindi ridimensionandone l’efficacia.
In un’altra pagina del Fatto Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd lombardo, alla domanda di Stefano Caselli che gli chiede come mai in Italia quando qualcuno fa bene il proprio mestiere gli si chiede di entrare in politica, Civati risponde “perché la politica è debole”.
Secondo Beppe Grillo invece di continuare a denunciare gli effetti di qualunque cosa, sarebbe bene risalire alle cause che li hanno determinati. E il perché di una politica debole, come del resto qualsiasi altra manifestazione del paese, va ricercato nell’assenza di meritocrazia dove i talenti, le competenze, la voglia di fare e di innovare, sono vissuti in modo deprimente da un establishment consociato, autoreferente & conservante che nei fatti determina una selezione negativa, vera & propria causa e concausa della mediocrità al potere. Un circolo vizioso talmente intricato che pare non si riesca più a sciogliere.
Luigi Barzini junior nel suo dimenticato Gli Italiani (Mondadori 1964), scriveva che mentre taluni giovani di altri paesi “diventano eroi nazionali o monumenti di bronzo (…) da noi, in tutti i tempi tali giovani devono nascondere la loro vocazione se vogliono campare. A pochi è concesso di diventare grandi in vita. A molti, tutt’al più, è concesso di diventare famosi, il che è tutt’altra cosa“.
In questo contesto immutato l’emersione di un Grande Talento come quello di Roberto Saviano, o come quello di Marco Travaglio e di pochissimi altri, tale emersione viene vissuta come miracolo perché è appunto un miracolo che una persona pulita, onesta, preparata, colta, coraggiosa, che scrive molto bene e che, per sovra mercato è persino fotogenica, oltre alla meritata celebrità gli sia concesso anche di diventare grande, come appunto nel caso di Saviano. Al quale consiglio di non farsi tentare dalla trappola della politica politicante la quale, non sapendo più da che parte girarsi, si illude illudendoci che il mito di Saviano possa essere utilizzato per colmare tutti gli abissi e le buche possibili & immaginabili, soprattutto perché lo show – lo spettacolo di una politica inerme – must go on, deve continuare.
“Achtung ai miti – avverte il poeta Alberto Giulini – sono mine che ti scoppiano in faccia”.
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