giovedì 11 novembre 2010

Cosa ho capito del discorso di Fini


DINO AMENDUNI

Se c’è una cosa che Fini sa fare molto bene, aiutato anche dai media che appaiono sinceramente divertiti nell’assistere allo sfascio del berlusconismo da destra, è caricare di attesa ogni suo intervento.
Tanto rumore per Mirabello, per ripetere in bella copia ciò che era stato detto in brutta dai vari scudieri nelle settimane precedenti.
La mitica videolettera delle ore 19 per chiarire sulla casa di Montecarlo, con siti intasati per sapere che lui, della casa di Montecarlo, non ne sapeva nulla. Scoop.
E oggi Bastia Umbra, un nuovo logo, un nuovo partito, 6000 persone, 1000 giovani, centinaia di magliette vendute. Un profluvio di semiotica. Un’altra riuscitissima manifestazione.

A costo di apparire semplicistico nella mia disamina, Fini ha detto una cosa e una sola: Berlusconi, dimettiti, poi rifai il governo però deve starci dentro l’UDC, altrimenti non c’è una vera discontinuità.

Questo concetto è, a mio avviso, un capolavoro di politica e un disastro di comunicazione politica. Provo a spiegarvi il perchè.
Ci sono tre interpretazioni possibili di questa mossa:

1. Fini crede davvero che la discontinuità sia rappresentata dalla presenza dell’UDC nel Governo. Un partito che in più occasioni ha, da un lato manifestato la distanza da Berlusconi, dall’altro ammiccato a Fini. Con la Lega che, a sua volta, si è opposta con fermezza, da sempre, alla fusione con i democristiani, figuriamoci cosa penserebbero di nuovo Governo e di un nuovo consiglio dei Ministri a quattro gambe.

2. Fini ha già un accordo politico, vero o di massima, con tutte le altre forze politiche affinchè, in caso di dimissioni di Berlusconi, si converga su un nome nuovo per un governo di transizione. Un trappolone. Della natura di questo nuovo governo non è dato sapere: l’unica cosa certa è l’incertezza sulla durata: questo CLN 2.0, unito dalla necessità di cambiare la legge elettorale, dovrebbe cuocere il Porcellum e, a pancia piena, tornare alle urne. Ma il mandato di questa poliedrica alleanza non può essere limitato temporalmente da nessuna istituzione del nostro Paese. Un Governo a tempo e a fiducia, un sostanziale ossimoro per moltissimi italiani.

3. Fini ha semplicemente rilanciato il cerino. Ma saltando Berlusconi a piedi pari. L’oggetto più ambito della politica nazionale è passato direttamente a Bossi, che dovrà scegliere tra l’indigesto accordo con l’UDC e la responsabilità politica della caduta del Governo.

Fini ha parlato immaginando l’opzione tre, il PDL (e Di Pietro, per motivi di marketing elettorale) ha ovviamente interpretato l’opzione uno.

Metodi da prima Repubblica” (Capezzone)
Votino la sfiducia in Parlamento” (Berlusconi)
Staniamo Fini” (Di Pietro)

A due giorni da Bastia Umbra, in Italia non è cambiato nulla. Il Governo è immobile. Si fa battere in Parlamento, non decide, non cade. La golden share del Governo è saldamente nelle mani di Fini.

Berlusconi e Bossi vanno avanti, non si sa bene verso cosa. Ma di sicuro, senza perdere nemmeno un voto.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

"Premetto che questo il mio primo commento a IL FATTO QUOTIDIANO, ottimamente diretto da Peter Gomez.
Mi decido a commentare perché, a mio avviso, questa è la prima analisi politica perfetta che mi è stato dato di leggere su tutta la stampa quotidiana che io consulto online. Splendida la chiusura del post, che propone dubbi ed incertezza mediante una affermazione che è anche una domanda: Bossi e Berlusconi vanno avanti senza farci capire verso cosa, Bossi e Berlusconi non perdono nemmeno un voto. Questo è il dramma dell’Italia di oggi: uno sterminato gregge di pecore che vanno dietro al ‘pifferaio magico’, inconsapevoli, alla cieca. Quanto lontano (o vicino) è il burrone?".
Così ho commentato sul blog di Amerruni.