di CARMELO LOPAPA
Il timing corre veloce, spedito, verso la crisi. E non sarà quella "pilotata" in cui il premier Berlusconi fino a ieri confidava. "Potete dire a Silvio che se non si dimette, lo facciamo dimettere noi" dice Gianfranco Fini a Bossi, Calderoli e Maroni. La missione da ultima spiaggia tentata dalla delegazione leghista nello studio al primo piano di Montecitorio, nella trincea "nemica", finisce così, col presidente della Camera che notifica l'intenzione di far presentare ai suoi una mozione di sfiducia, se il Cavaliere non si rassegnerà a fare "l'inevitabile" passo indietro.
Da lunedì, sarà un'escalation. Il ritiro del ministro Ronchi e dei sottosegretari di Fli dal governo; poi l'astensione sulla fiducia che Tremonti porrà alla legge di Stabilità (ma con voto favorevole sul merito della norma salva-conti); infine, appunto, la sfiducia. "Perché noi non voteremo mai una mozione presentata dalle opposizioni, ci assumeremo la responsabilità di firmarne una nostra" scandisce il leader dei futuristi al cospetto dei suoi. Sarà dicembre, a quel punto, e tutto allora passerà nelle mani del capo dello Stato.
Non che il Senatur non le abbia provate tutte, nel pur breve incontro con l'ex alleato alla Camera. "L'ingresso dell'Udc nel governo per noi è inaccettabile - ha premesso Bossi - Ma si può aprire una crisi pilotata, questo sì, con la garanzia che Berlusconi, andando al Quirinale a rassegnare le dimissioni, ne esca con un nuovo incarico, com'è già avvenuto in passato". Ma sta proprio qui il punto. "Eh no, lui si dimetta, poi vediamo cosa succede, non possiamo imporre paletti di questo genere al presidente della Repubblica" ribatte Fini agli uomini del Carroccio. È a quel punto, nel vertice di mezzogiorno durato meno di un'ora, che il leader leghista con i due ministri al fianco, prova a offrire al presidente della Camera quel che fino a ieri era impensabile. "Se voi accettate un Berlusconi bis - insiste Bossi rivolto a Fini - nel nuovo governo ci sarebbe spazio per un numero maggiore di vostri ministri, anche con portafogli. Si può aprire un dialogo per la riforma parziale della legge elettorale. E Silvio potrebbe sacrificare gli ex colonnelli di An" accenna con chiaro riferimento a
"Forse non è ancora chiaro, a me non interessano le poltrone" ribatte Fini, che poi incalza: "Ma voi escludete davvero che un governo possa essere presieduto da qualcun altro? Non pensate anche voi che questo ciclo sia finito?" Il leader leghista appare categorico, o quasi. "Noi lo escludiamo. Se poi Berlusconi decidesse di fare un passo indietro, allora se ne potrebbe parlare. Ma non mi sembra che possa accadere". Sono da poco trascorse le 12,30 e Maroni e Calderoli escono per primi, terrei e silenti lungo il corridoio che dalla presidenza conduce ai gruppi parlamentari. Andranno a riunirsi al gruppo della Lega con Bossi che li raggiungerà a breve.
Fini convoca i suoi. Racconta il "nulla" emerso dal faccia a faccia allargato con i leghisti, più curiosi di conoscere le mosse dell'avversario che intenzionati a portare avanti una mediazione concreta, a sentire i finiani. L'impressione, da Bocchino a Urso, da Menia a Briguglio passando per
Gianfranco Fini d'altronde guarda avanti, pensa ormai "oltre" come spiegherà in serata ai due liberaldemocratici Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, ai quali ha chiesto un incontro. Perché le "consultazioni" del presidente della Camera sono già iniziate. "Vi rendete conto anche voi che l'era di Berlusconi è finita, che bisogna guardare avanti" dice ai due deputati un tempo parte integrante della maggioranza nel Pdl, ora anch'essi fuori dal recinto. Anche a loro il leader di Fli chiede la disponibilità ad avviare un cammino comune, intanto, con l'astensione sulla fiducia, poi in vista della costruzione di un nuovo partito moderato con Casini e Rutelli. "Ma prima, è chiaro, occorrono le dimissioni di Berlusconi e se non arrivano quelle..." taglia corto Fini. Melchiorre e Tanoni danno la loro disponibilità.
Ma è soprattutto con Casini e Bersani che la terza carica dello Stato tessendo la sua trama. I contatti sono continui, ormai ripetuti nel corso della giornata, il pallottoliere della possibile, futura maggioranza viene aggiornato di ora in ora. Ed è soprattutto sui senatori in bilico che i tre stanno lavorando ormai da giorni. "Un altro governo non sarà di tre mesi, limitato alla legge elettorale, ma porterà a termine la legislatura e lavorerà per far fronte alla crisi economica" è il messaggio che quasi in coro ripetono ai loro interlocutori. Finiani e centristi confidano parecchio nella mano d'aiuto che indirettamente potrebbe arrivare dal drappello di parlamentari rimasto fedele all'ex ministro Claudio Scajola. Poco più di una decina, dicono nel Pdl, comunque in grande agitazione, fuori da tutti i giochi dettati dai tre coordinatori regnanti e pressoché certi di non essere ricandidati, in caso di ritorno immediato alle urne.
Berlusconi e Bossi hanno già confermato al telefono, tra Roma e Seul, il loro appuntamento ad Arcore di lunedì. Quella sera, forse, tutto sarà già compiuto.
(12 novembre 2010)
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