lunedì 15 novembre 2010

Il Cavaliere guarda già al dopo-voto "Riuscirò a conquistare il Quirinale"


di CARMELO LOPAPA

Le lettere di dimissioni del ministro Ronchi, del vice Urso e dei sottosegretari Menia e Buonfiglio sono state già firmate. Questa mattina saranno recapitate a Palazzo Chigi. Si chiuderà così l'avventura dei finiani al governo. Nell'ennesimo gabinetto di guerra, convocato per stasera ad Arcore coi tre coordinatori pidiellini e il vertice leghista guidato da Umberto Bossi, il premier spiegherà che eviterà, se possibile, di salire al Colle. Ma dal Quirinale non fanno mistero di attendersi invece un passaggio già in questi giorni, come prassi istituzionale vuole in casi del genere. Quel passaggio sancirà la pre-crisi.

Berlusconi ha già fatto sapere che non assegnerà subito le quattro deleghe che si libereranno oggi (cinque con l'Mpa) e le altre cinque vacanti da mesi (dopo l'uscita di Cosentino, il nuovo incarico di Romani, tra gli altri). "Lo farò dopo la fiducia". Non a caso. Da oggi - racconta chi frequenta Palazzo Grazioli - si riapre il mercato, pressing sui finiani più moderati e i pidiellini indecisi, con le dieci poltrone a fare da montepremi tra le offerte più appetibili. "Con Fini non tratto più - ripeteva ieri il premier - contatterò piuttosto uno per uno i suoi che, passando a Fli, mi hanno promesso che non mi avrebbero mai votato la sfiducia".

Prima di partire per Milano alla volta di San Siro, il capo del governo è rimasto a Roma mezza giornata a ragionare con
Gianni Letta e, al telefono, con alcuni ministri su quel che lo attende. Continua a ostentare sicurezza: "Sono solo manovre di palazzo, i sondaggi veri non sono i loro, sottovalutano che l'unico in grado di parlare al popolo sono io". Premier d'attacco, leader già sintonizzato sulla campagna elettorale. "Quando ci saremo davvero, allora potrò dire quel che ora devo tacere su certi personaggi" va ripetendo con riferimento a Fini e non solo, dice uno dei suoi più stretti collaboratori. Convinto che, comunque vada, "le elezioni le rivinco e al Quirinale andrò io, in ogni caso, nonostante i loro giochini". Un Berlusconi comunque intenzionato a giocarsi tutte le sue carte anche in questa complicatissima partita della crisi. "Sono l'azionista di maggioranza del governo" va ripetendo: "Senza di noi e la Lega, non ci sarebbe il Nord e non è pensabile un esecutivo che ne faccia a meno". Ipotesi alternative non ne esistono, insiste dunque il premier con coordinatori e deputati Pdl sentiti nel corso della giornata: "E chi pensa di coinvolgere Letta, non ha capito che Gianni non si presterebbe mai, contro di me". Se di piano "b" si è ragionato ieri, tra Palazzo Grazioli e Milano, è quello che prevede il ricorso a un Berlusconi bis (dunque con dimissioni e reincarico), solo nel caso in cui la sfiducia alla Camera dovesse essere approvata prima della mozione di sostegno al Senato. Ma su questa priorità il partito ha ricevuto l'ordine di alzare le barricate. "La scelta sul ramo del Parlamento spetta al governo - rivendica Gaetano Quagliariello - E nessuno può trasformare Palazzo Madama da camera alta a figlio di un dio minore". Se poi andrà male, "le elezioni sono la soluzione più limpida" per dirla con un fedelissimo come Osvaldo Napoli.

Su tempi e sviluppi della crisi si è a lungo parlato nelle telefonate intercorse in queste ore tra Fini, il Quirinale, Bersani, Casini, Rutelli. L'orientamento è quello di rinviare la discussione della sfiducia a dopo l'approvazione definitiva della legge di Stabilità (dunque a dicembre) come auspicato dal Colle. Ma, subito dopo, sostengono Fini e Casini la sfiducia andrà discussa prima alla Camera. Martedì, in conferenza dei capigruppo, il presidente di Montecitorio darà un segnale in tal senso.

Per il resto
, la strategia del "Kadima" di Fini, Casini e Rutelli (e Lombardo) è già tracciata. La loro mozione di sfiducia sarà presentata all'ultimo momento utile. Un accordo di massima vorrebbe che Pd e Idv ritirino la loro, per convergere tutti sull'unico testo e infine spuntarla. Scontato lo scenario post crisi, i tre lo proiettano tutto su un governo di larghe intese che porti a termine la legislatura. "Ridicola la minaccia di sciogliere solo la Camera - è stato il commento di Fini coi suoi alla provocazione di Berlusconi - Perché dopo la sfiducia a Montecitorio, dove si voterà prima, anche i numeri al Senato si capovolgeranno". Nell'incontro di stasera, Bossi, Maroni e Calderoli tenteranno per l'ultima volta di convincere il premier a scendere a patti con Fini. Senza tanta convinzione, ormai anche il Senatur se n'è fatto una ragione: "Berlusconi vuole il voto e alla fine ci andremo".

(15 novembre 2010)

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