lunedì 15 novembre 2010

È finita la colla del Cavaliere


di ILVO DIAMANTI

Dietro al declino di Silvio Berlusconi si scorgono una maggioranza a pezzi e un Paese in briciole. Senza colla e senza cornice. Perché Berlusconi era e resta l'unica colla e l'unica cornice per il suo partito, la sua maggioranza.

Per la base sociale che, per tanti anni, si è identificata in lui. La sua maggioranza. È a pezzi. Ormai da tempo. Da quando si è rotta l'intesa - fragile - con
Gianfranco Fini. Che non ha mai accettato l'annessione di An. L'ha subìta, facendo buon viso a cattivo gioco. Ma il patto si è spezzato, ormai da mesi. Per ragioni politiche e personali - ormai impossibili da scindere in questa democrazia dell'opinione. Così oggi la maggioranza non ha più una maggioranza. La nascita di Fli, prima come gruppo parlamentare e poi come partito vero e proprio, ha ridotto il Pdl a un ex-partito. Spezzato. La maggioranza di governo: non c'è più. La regge solo la Lega. Finché le conviene. Pochi mesi, poche settimane, pochi giorni. Finché non riterrà la crisi di governo più costosa, politicamente, della mancata riforma federalista. Cioè, ancora per poco, immaginiamo. Ma già ora la Lega agisce come un partito esterno alla maggioranza di Silvio Berlusconi. Non risponde a lui. Non l'ha mai fatto, d'altronde. Ma ora ne prende apertamente le distanze. E non accetta - ci mancherebbe - di vedersi ridimensionata dall'ingresso nel governo dell'Udc. La sua vera antagonista.
È a pezzi anche il Pdl, diviso all'interno. Dove Tremonti è percepito, ormai, come il vero premier. Riferimento per possibili maggioranze alternative. Gradito alla Lega, accettato dai centristi e da una parte del PD.

Ma il Pdl è diviso anche alla base
. Nel Nord: soppiantato dalla Lega. Nel Mezzogiorno: incalzato da Fli. E dalle nuove leghe meridionali, soprattutto in Sicilia. Le stime elettorali più recenti (da ultime, quelle dell'Ipsos di Pagnoncelli e dell'Ispo di Mannheimer) sottolineano il declino del Pdl: ormai ben al di sotto del 30%. E suggeriscono che la maggioranza di centrodestra rischierebbe di non essere tale neppure alla prova del voto. PdL e Lega, infatti, non raggiungerebbero il 40%. Mentre i partiti di centro - Udc, Fli, Api, con il rinforzo di Montezemolo - otterrebbero intorno al 18%. Il PD - per quanto in affanno - e l'Idv, alleati alle sinistre, potrebbero perfino prevalere. Alla Camera. Mentre al Senato nessuna maggioranza appare possibile. Motivo che ha spinto Berlusconi ad avanzare la singolare idea, in un sistema a bicameralismo perfetto, di votare solo per la Camera. Tanto per dividere ancora di più le rappresentanze e le istituzioni.

Il fatto è che Berlusconi non è solo il leader di Fi, del Pdl e dell'attuale maggioranza di centrodestra. Ne è l'inventore. E l'unica colla. Senza di lui, questo progetto e questo soggetto politico non stanno insieme. Come non sta insieme l'Italia a cui egli ha dato rappresentanza ed evidenza. Perché Berlusconi, va ribadito, non ha vinto "solo" per merito delle televisioni e della sua capacità di usare - prima e meglio degli altri - il marketing in politica. Ma anche perché ha interpretato il cambiamento sociale - profondo - avvenuto in Italia negli anni Ottanta e Novanta. L'irruzione dei piccoli imprenditori del Nord, veicolata dalla Lega. A cui Berlusconi ha garantito cittadinanza politica e accesso al governo, ancora nel 1994. L'affermazione del capitalismo di "produzione dei beni immateriali" (per citare Arnaldo Bagnasco): finanza, comunicazione, assicurazioni. Queste tendenze che hanno imposto la logica del "mercato" negli stili di vita e nei modelli culturali, promuovendo l'avvento di una società di individui, orientati dai consumi e dai media. Berlusconi, a questa realtà sociale ed economica, ha offerto linguaggio, immagine, ideologia. Luoghi e canali di espressione e di comunicazione. In altri termini: rappresentanza e rappresentazione.

Oggi questa Italia non si riconosce più in lui. Né Berlusconi è in grado di offrirle identità comune. D'altra parte, la crisi globale ha tolto credibilità al sistema del credito e della finanza. Non solo, ne ha acuito il contrasto con i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori. E poi la paura: generale e generalizzata, generata dalla crisi economica e dall'incombere della disoccupazione. La domanda di Stato sociale, di sostegno pubblico. Tutto ciò ha indebolito il ruolo di Berlusconi. La sua offerta di rappresentanza. La sua "ideologia del fare" - peraltro, puntualmente smentita dai fatti. Ha reso impopolare la sua interpretazione festosa e fastosa dell'uomo-che-si-è-fatto-da-sé. Così, si è assistito alla presa di distanza, nei suoi confronti, da parte degli ambienti che lo avevano, fin dall'inizio, guardato con favore. Le associazioni imprenditoriali, alcune organizzazioni di categoria e parte del mondo cattolico. Mentre si è allargato il disincanto sociale, sottolineato dal grado di fiducia verso di lui, sceso - oggi - ai minimi storici. Anche per questo assistiamo a un Paese che si sbriciola. Dove prevalgono i risentimenti sociali. Contro gli statali fannulloni, gli insegnanti impreparati, i baroni senza morale, i medici incapaci (e criminali). Mentre si è logorato il mito dell'italiano in grado di reagire a tutto, maestro dell'arte di arrangiarsi. A cui piace vivere bene, in un ambiente estetizzato da secoli di arte e di cultura. Più che a vivere, oggi, gli italiani - molti italiani - sono impegnati a sopravvivere. Alla crisi economica. I giovani: alla precarietà. In un ambiente che cade a pezzi. Peraltro, mentre si celebrano i 150 dell'unità d'Italia, le tensioni territoriali crescono. Tra Nord, Roma, il Sud. Nel Nord e nel Sud.

A tutto ciò Berlusconi non sa e non riesce più a dare risposte unificanti. Non solo per ragioni "politiche" congiunturali. Anche perché sono in crisi la struttura sociale e il sistema di valori che egli ha interpretato per oltre 15 anni. Il problema è che le alternative - sociali, ma anche politiche - faticano ad emergere. Per cui ci scopriamo spaesati, in un paese sbriciolato. Affollato di individui soli e vulnerabili. L'uscita dal berlusconismo - anche senza Berlusconi - si annuncia lunga e faticosa.

(15 novembre 2010)

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