di CURZIO MALTESE
Le decine di migliaia di votanti che hanno sfidato una giornata d'inferno per scegliere lo sfidante di Letizia Moratti, sono una delle poche buone notizie della vita pubblica in questi mesi. E questo anche se erano di meno rispetto alle primarie precedenti. Sono una buona notizia perché segnalano che la politica non è soltanto trame di palazzo, guerre televisive, macchine del fango e altre porcherie, ma soprattutto libertà e partecipazione, come cantava un grande milanese onorario, Giorgio Gaber. Ma poi perché la partita milanese, da qui alle comunali, è destinata a riscrivere i destini nazionali.
Come sempre, viene da dire. Tanto per cominciare, le primarie milanesi sono la prova generale delle primarie nazionali del centrosinistra. Quasi uno scontro per procura fra Bersani e Vendola, che infatti si sono spesi anima e corpo nel sostengo ai rispettivi candidati, Stefano Boeri e Giuliano Pisapia. Vendola è addirittura piombato a Milano alla vigilia del voto per il comizio finale di Pisapia, con mossa tanto teatrale quanto efficace. In una battaglia all'ultimo voto, ha vinto Pisapia.
Ma il Pd non dovrebbe pentirsi di queste primarie, semmai riflettere. A Milano, come in Puglia e a Firenze, le candidature del Pd pagano l'ambiguità delle scelte o delle non scelte, la distanza crescente dei gruppi dirigenti dagli umori dell'elettorato. A parte queste diatribe interne al centrosinistra, le primarie di ieri hanno avuto un sicuro effetto positivo: la prova di vitalità della sinistra milanese che deve uscire dall'angolo e risorgere.
La sinistra si era ritirata da Milano, ovvero dalla trincea più moderna del Paese, negli anni Ottanta, ed è stato un modo rapido per uscire dalla storia italiana. Queste primarie, belle, nervose e vivaci, con candidati di qualità presi dal mondo delle professioni, l'avvocato Giuliano Pisapia, l'architetto Stefano Boeri, il costituzionalista Valerio Onida e il fisico Michele Sacerdoti, hanno restituito al centrosinistra milanese dignità, smalto e appeal persi nel tempo e fra mille errori.
Il candidato espresso dal voto di oggi potrebbe avere per la prima volta da molto tempo una possibilità concreta di battere la destra. Lo testimoniano anche il nervosismo del sindaco Moratti, le divisioni interne fra Lega e Pdl, la tentazione del terzo polo di candidare l'ex sindaco Albertini. Da feudo del centrodestra, Milano può così tornare ad essere un laboratorio centrale della vita politica italiana. Un laboratorio che potrebbe decretare fra quattro mesi la fine del berlusconismo, così come ne aveva salutato la nascita. Attraverso il libero voto e non per un'alchimia di palazzo. Da oggi si torna a Milano per capire dove andrà il Paese, com'è stato in tutte le svolte decisive della storia repubblicana, dalla Liberazione al primo centrosinistra, da Tangentopoli all'invasione leghista e alla nascita della seconda repubblica. Era questa la speranza di una Milano democratica che per tanti anni ha assistito allo scempio di cattive amministrazioni populiste e reazionarie senza perdere mai la voglia di combattere. Era la speranza di gente come Riccardo Sarfatti, la personalità che forse si è più spesa per arrivare alle primarie milanesi ed è morto due mesi fa in un incidente stradale, senza poter vedere il risultato dei propri sforzi. Un grande milanese, Sarfatti, una bella persona.
(15 novembre 2010)
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