Lo rivela l’ex Guardasigilli Conso in commissione Antimafia
di Giuseppe Lo Bianco Sandra Rizza
Per fermare le stragi di Cosa Nostra dopo gli attentati di Roma, Firenze e Milano, il ministro della Giustizia Giovanni Conso il 4 novembre del ’93 decise di non rinnovare il 41 bis per 140 mafiosi detenuti.
Lo ha detto ieri, con una dichiarazione clamorosa in commissione Antimafia, lo stesso ex Guardasigilli in carica dal febbraio del ’93 all’aprile del’94 nei governi Amato e Ciampi.
È la prima ammissione proveniente da un uomo delle istituzioni di un collegamento diretto – durante il biennio stragista – tra la gestione dinamica del 41 bis e gli attentati di Cosa Nostra.
Dalla memoria a orologeria dei protagonisti politici di quella stagione arriva, a sorpresa, la prova dell’esistenza della trattativa tra Stato e mafia?
“Non ci fu nessuna trattativa – ha tagliato corto Conso – né quella decisione fu l’effetto di un ricatto più o meno diretto”.
Ai commissari, poi, l’ex ministro ha spiegato: “Non ebbi alcuna pressione o invito da alcuno, si tratta di una scelta che feci in solitudine pensando che una soluzione diversa avrebbe dato il destro ad una possibile minaccia di altre stragi. Quella proroga, del resto, non era necessaria”.
Ma come è giustificabile una simile ‘benevolenza’, come lo stesso Conso l’ha definita davanti all’Antimafia, da parte di un ministro della Repubblica nei confronti dei boss detenuti ?
Qui l’ex Guardasigilli si è avventurato in un’analisi degli equilibri interni a Cosa Nostra, in quell’epoca, che solleva più di un interrogativo.
Ha spiegato Conso: “Quella decisione fu presa non in un'ottica di pacificazione, ma per vedere di fermare la minaccia di altre stragi. C’era già stato l’arresto di Riina, e si parlava di un cambio di passo della mafia con il nuovo capo, Provenzano”. Ha aggiunto ancora Conso: “Il vice di Riina aveva un'altra visione: puntare sull'aspetto economico ed abbandonare le stragi. Ecco perché decisi di lasciar stare un atto che non era obbligatorio. I pm non dissero nulla. Fu solo una mia decisione non concordata con alcuno”. E la decisione, come sottolinea lo stesso Conso, funzionò a meraviglia. Difatti dopo quel mancato rinnovo del 41 bis, ha rimarcato l’ex uomo di governo, ‘’di stragi non ce ne sono più state’’.
I dubbi sulle dichiarazioni
MA È NORMALE che un governo conceda, anche solo di propria iniziativa, benefici carcerari in cambio di un’aspettativa di non belligeranza da parte dell’organizzazione criminale più potente del mondo?
Non pensò il ministro che questo suo atteggiamento ‘morbido’ potesse essere scambiato per un inizio di trattativa?
Glielo ha chiesto, in Commissione, il deputato di Fli Angela Napoli.
E Conso ha così chiosato: “Non l’ho mai pensato. Per parlare di trattativa bisogna avere una lettera, un colloquio con un’altra persona”. E quando
Se Giovanni Conso nega l’esistenza della trattativa, per Luigi Li Gotti, senatore dell’Idv, le parole dell’ex ministro suonano invece come la conferma del patto tra Stato e mafia. “Oggi Conso in Antimafia ha indirettamente confermato la trattativa” - dice Li Gotti, che fu il difensore del boss Giovanni Brusca - “i 41 bis nel novembre del '93 non furono confermati perché da Provenzano era stato manifestato l'abbandono della strategia stragista”. E sull’analisi mafiologica di Conso, Li Gotti appare perplesso sottolineando che la divergenza di linea tra Riina e Provenzano, alla fine del ’93 non era ancora nota . “Dice Conso che all'epoca ne parlavano tutti i giornali - evidenzia Li Gotti - ma non è esatto, perché addirittura Di Maggio aveva detto che Provenzano era morto”. Chiede adesso il senatore, membro dell’Antimafia: “Allora chi si fece latore delle scelte di Provenzano? Questa è la trattativa, pur ignorata da Conso”.
Anche ai familiari delle vittime delle stragi del ’93 le parole di Conso provocano grande stupore. “Siamo costernati - dice Giovanna Maggiani Chelli - siamo allo scandalo più puro: chi deve, si vergogni di averci così drammaticamente ingannato”.
Il ritorno alla linea dura
NEL GENNAIO del ’94, infine, Conso tornò ad essere un ministro intransigente e rinnovo’ il 41 bis per un altro gruppo di detenuti mafiosi. “Può apparire contraddittorio” ma, come fa notare lo stesso ex Guardasigilli, stavolta “si trattava di capi: Fidanzati, Calò e tanti altri. C’era lo stesso rapporto che c’è tra i ricchi e poveri”.
Proprio sulla presunta interlocuzione, a suon di bombe, tra mafia e Stato in relazione all’iter del 41 bis, si erano accesi i riflettori investigativi della Procura di Firenze quando titolare dell’indagine era il pm Gabriele Chelazzi. L’11 aprile del 2003, pochi giorni prima di morire d’infarto, Chelazzi interrogò il generale Mario Mori (oggi indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa) e il testo di quel verbale è oggi agli atti del processo per la mancata cattura di Provenzano in corso a Palermo. Secondo Chelazzi, esisteva un rapporto diretto tra la revoca di alcuni 41 bis e il fallito attentato dello stadio Olimpico che il pm fiorentino aveva datato al 31 ottobre del 1993.
Tre giorni prima della revoca per i 140 detenuti di cui oggi parla Conso.
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