L’Mpa di Lombardo esce dal governo. Guerra di mozioni: il Pd ne presenta una contraria, il Pdl di appoggio
di Sara Nicoli
Ha già in tasca il nuovo simbolo ed è pronto a mandare in strada i nuovi “team delle libertà” perché “l’unico governo possibile è questo, altrimenti si vota”. Quel momento – le urne – sembra avvicinarsi sempre più. Lunedì, oltre ai finiani, a sostenere il governo non ci sarà più neppure l’Mpa. E i numeri cambiano anche al Senato: su 321 senatori, il Cavaliere può contare su una maggioranza di 161 contro 160 dell’opposizione. Basta, insomma, che un ondivago Massidda decida di cambiare casacca e anche a Palazzo Madama Berlusconi non avrà la fiducia. La caduta definitiva è quindi a un passo.
A questo punto è diventata fragile quella strategia che aveva studiato il Cavaliere in persona, di ritorno da Seul, ordinando ai suoi di presentare una “mozione di sostegno” al governo in Senato, cosa che aveva poi indotto il Pd a rompere gli indugi e a presentare, con l’Idv, una mozione di sfiducia alla Camera. E una loro mozione di sfiducia la stanno valutando anche Fli, Mpa, Udc e Api. Una “guerra di mozioni” che, comunque, si consumerà solo dopo
IL CAVALIERE, tuttavia, teme ancora che il capo dello Stato voglia pilotare la crisi. Nella sua mente si è quindi formata una precisa strategia per schivare la possibilità – remota – di un governo tecnico a guida diversa dalla sua. Lunedì mattina, Berlusconi si troverà sul tavolo le dimissioni del ministro Ronchi, del viceministro Urso e dei due sottosegretari Menia e Bonfiglio. E anche quelle del sottosegretario Reina dell’Mpa. La compagine di Raffaele Lombardo, con una decisione della direzione del partito, ha deciso di lasciare il governo: “C’è un clima da resa dei conti, non ci appartiene”. A parere di alcuni fedelissimi, il Caimano al massimo martedì mattina salirà al Quirinale per assumere l’interim di tutte le posizioni rimaste scoperte, riservandosi di fare delle nomine ad hoc casomai prima di recarsi al Senato per il voto sulla “mozione di sostegno”, ma ormai non può più dare per scontata la fedeltà di nessuno. E il precipitare della situazione lo ha irritato oltre misura.
“FINI vuole farmi fuori, ma non s’illuda che io stia a guardare, se vogliono sovvertire il voto popolare, porto la gente in piazza e faccio la guerra civile!”. Sull’aereo che lo riportava dalla Corea, il Cavaliere è apparso lucido e senza tentennamenti su un’unica questione: l’obbligo di rimanere a Palazzo Chigi non si discute. Si è convinto sempre di più che la tattica finiana sia quella di indebolirlo il più possibile per poi lasciarlo in pasto alle procure. Senza alcuno scudo. “Vuole farmi fuori”, si è sfogato più di una volta. E non ha affatto torto. La strategia che ha studiato con i suoi anche a distanza e che ieri ha esplicitato Fabrizio Cicchitto alla Camera, non è a lungo respiro ma prevede alcuni passaggi tattici per arrivare alle urne senza vedersi scippare Palazzo Chigi da un governo tecnico o di ampia coalizione con premier, casomai, uno come Pisanu o – peggio, molto peggio – Giulio Tremonti. Sostenuto da una Lega che ora il premier non vede più alleato di ferro come qualche settimana fa. Ma la “conta” che porterà a questo sbocco quasi drammatico della crisi, con un passaggio parlamentare dove Berlusconi cadrà platealmente, si farà prima al Senato e poi alla Camera. E rigorosamente dopo
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