venerdì 12 novembre 2010

Per Fli e Casini mai più Berlusconi a Palazzo Chigi


FABIO MARTINI

E’ l’ora della “siesta” e davanti a “Giolitti” - la gelateria degli onorevoli e dei turisti stranieri - c’è un affollamento eccitato, segno che da Montecitorio sta per uscire qualche pezzo grosso. Eccolo, finalmente, Umberto Bossi, col suo Renzo. E davanti all’assalto di folla e microfoni, il capo della Lega diventa decisamente più loquace di due ore prima, quando era uscito dall’attesissimo incontro con Gianfranco Fini. A chi gli chiede se Berlusconi potrebbe dimettersi, avendo la garanzia di un reincarico, Bossi risponde che, sì, potrebbe farlo perché «altre volte è accaduto». Eccolo, lo spiraglio che tanto inquieta Berlusconi («Se mi dimetto, poi non torno più a Palazzo Chigi») e che Bossi invece prende in considerazione.

In quello spiraglio, aperto con nonchalance, si condensa tutta l’incertezza di una crisi che si sta aprendo a scenari tra di loro molto diversi ma tutti plausibili, sia pure con probabilità diverse. E sullo sfondo, in pourparler riservatissimi che rimbalzano tra Roma e Milano, si sta cominciando a ragionare su un ragionevole e legale “salvacondotto” per favorire un’uscita “indolore” di Berlusconi, una via d’uscita che eviti una caccia all’uomo, una replica di altri accanimenti vendicativi che la storia italiana ha già conosciuto. Ma intanto la prossima mossa tocca, una volta ancora, a
Gianfranco Fini.
Chi ha parlato con lui in queste ore lo ha trovato più «teso» del solito, «preoccupato dall’incertezza di una situazione» nella quale si giocano i destini del Paese, ma anche determinato ad affondare, una volta per sempre, Berlusconi. Due sere fa, Fini, Casini e Rutelli si sono riservatamente messi d’accordo proprio su questo: Berlusconi-bis neanche a parlarne.

Fini ha anticipato ai suoi sodali terzopolisti che ritirerà la delegazione “futurista” «lunedì mattina dopo il ritorno di Berlusconi da Seul», che voterà «a favore della Finanziaria», che i suoi «non parteciperanno più a voti di fiducia sul governo perché si è rotto il rapporto di fiducia col governo» e che
già dalle prossime ore continueranno le dissociazioni parlamentari. E il percorso di guerriglia è già pronto: questa mattina nella Commissione Bilancio saranno presentati emendamenti Fli-Udc alla Finanziaria, sui quali si conta di rimettere “sotto” il governo.
La crisi vera e propria? «Dopo la Finanziaria». Con quali prospettive? Primo scenario: Berlusconi-bis. In cuor suo va bene al premier e va bene anche ai leghisti, perché «a noi - dice uno dei loro capi - interessano i decreti attuativi del federalismo e dopo, a maggio, si potrebbe anche andare a votare».

Si potrebbe ma senza sbracciarsi, «perché la Lega non è più tifosa sfegatata del voto anticipato», rivela il numero due dei futuristi
Italo Bocchino, reduce da un colloquio col presidente della Camera. Il secondo scenario sul quale si sta silenziosamente lavorando, dentro il Fli e dentro il Pdl, è un governo di centrodestra con un premier diverso da Berlusconi. Candidati possibili, Giulio Tremonti, Gianni Letta ma anche un presidente giovane, come l’attuale Guardasigilli Angelino Alfano.
Il terzo scenario, il più difficile, è quello del “governo istituzionale” (premier ipotetico Beppe Pisanu), ma chi ci pensa sa che la condizione per realizzarlo sarebbe una «consistente secessione nella Lega e nel Pdl». E infatti Massimo D’Alema (che ne è il massimo sponsor, assieme a Fini), quando invoca il «governissimo», dice che dovrebbe essere sostenuto da una base parlamentare «la più larga possibile». Ma centrodestra-bis e “governissimo” sono due scenari destinati ad accendere una reazione fiammeggiante da parte di Berlusconi.

E’ per questo motivo che in diversi ambienti - di maggioranza, di opposizione e fuori della politica - si sta studiando un pacchetto che possa evitargli un accanimento fuori misura, come la possibile reintroduzione della immunità parlamentare, ovvero forme “aggiornate” di prescrizione. Dice un uomo di mondo come Bruno Tabacci, un anti-berlusconiano che ha vissuto il crepuscolo della Prima Repubblica: «Questo è un Paese crudele, che per mondarsi delle proprie colpe, una volta che Berlusconi è caduto, è capace di accusarlo di nefandezze inaudite.
Certo, si può ragionare su una uscita senza vendette, ma dopo che lui abbia abbandonato il campo. Senza equivoci».

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