domenica 14 novembre 2010

Quegli 800 candidati improponibili


MATTIA FELTRI

Un numero che solo scandirlo provoca il batticuore. Tenetevi forte: ottocento e passa. Sì, ripetetelo: ottocento e passa. Sono tanti, troppi. Immaginateveli: un esercito, un corteo di ottocento persone mute, silenziose, ognuna delle quali porta dentro di sé un segreto che non ha rivelato. Un peccato veniale, in molti casi. Ma anche peccati che sono precedenti penali.
Da qualsiasi punto di vista lo vogliate affrontare, il problema è uno scandalo. Ottocento e passa cittadini che hanno avuto problemi con la giustizia, con l’illecito, con la violazione penale di norme e codici, alle ultime elezioni regionali, provinciali e comunali si sono candidati. E non c’è stato nessun filtro. Tra complicità e impotenza, i partiti li hanno candidati. In molti casi facendoli eleggere.

Il punto non è sapere quanti ce l’hanno fatta, quanti hanno passato il turno. I nomi degli ottocento non li conosceremo mai. C’è di mezzo anche la Privacy. Il loro elenco è arrivato a palazzo san Macuto: i nominativi sono stati trasmessi da tutte le prefetture. E il presidente dell’Antimafia, Beppe Pisanu, quei nomi li ha chiusi in cassaforte.

Solo per quaranta, anzi per trentanove, c’è la possibilità che vengano resi pubblici. Lo chiedono diversi componenti dell’ufficio di presidenza della commissione di palazzo san Macuto. E lo schieramento è bipartisan: da Fabio Granata (Fli) a Laura Garavini (Pd), ad Angela Napoli (Fli) e Luigi Li Gotti (Idv).

I trentanove sono i candidati che hanno violato il codice di autoregolamentazione approvato dall’Antimafia e sottoscritto dai partiti, da tutti i partiti. E la prossima settimana l’ufficio di presidenza di san Macuto potrebbe decidere la discovery in Parlamento.

Ricordate un mese fa? Quando l’Antimafia di Beppe Pisanu protestò fortemente contro il boicottaggio di alcuni prefetti poco collaborativi che a distanza di diversi mesi ancora non avevano spedito a san Macuto gli elenchi di quelli che Pisanu ha poi definito «candidati indegni»?
Insomma, a un mese di distanza il quadro della situazione è ormai completo. E dunque ottocento e passa candidati sono stati segnalati dalle prefetture perché coinvolti in contenziosi, in procedimenti penali, civili. Sembra, secondo alcune indiscrezioni, che degli ottocento circa trecento sono quelli nei confronti dei quali si sono avviate indagini, svolti processi, comminate condanne per reati penali: da truffa ad appropriazione indebita, da calunnia a diffamazione.
«Indegni candidati», li ha definiti Beppe Pisanu, il presidente dell’Antimafia. Ma anche «indegni partiti» che non hanno vigilato o che sapevano e hanno taciuto. In questo caso il numero è il problema, al di là delle tipologie di reati che i candidati hanno commesso. Un esercito di ottocento «indegni» hanno lottato per essere eletti.

Ci sono i casi più gravi: 39 candidati che hanno violato il Codice, approvato nel febbraio scorso da tutti i partiti, dell’Antimafia. Cosa prevedeva il testo? Che non poteva candidarsi chi era stato colpito da una misura cautelare non revocata o annullata, chi era stato processato, condannato anche in via non definitiva per i seguenti reati: associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, impiego di denari di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori. Oppure chi era stato perseguito per reati patrimoniali o per traffico illecito di rifiuti.

Questo codice etico semplicemente è stato disatteso. All’interno dell’Antimafia non tutti, ovviamente, sono d’accordo per rendere pubblici i nomi dei «39» impresentabili. Sarà interessante conoscere le regioni di provenienza. C’è da scommettere che la parte da leone la faranno le regioni del sud (anche perché si attendono a breve sviluppi giudiziari clamorosi, insomma arresti di consiglieri regionali in odore di mafia), ma qualche sorpresa potrebbe venire anche dalle regioni del Nord. Il dramma è che l’Italia si sta unificando, da questo punto di vista. L’ultimo sindaco arrestato per mafia è di un paese in provincia di Pavia, Borgarello.

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