giovedì 11 novembre 2010

"Ultima offerta, il Berlusconi bis" ma Fini dice no all'amico Gianni


di CLAUDIO TITO

"MA E' VERO quello che mi dicono i leghisti? Saresti disponibile ad un Berlusconi bis. Appoggeresti davvero un nuovo governo di Silvio?". La battaglia sulle dimissioni del ministro Bondi si era appena conclusa. La tensione nei corridoi di Montecitorio era altissima. La maggioranza alle prese con l'ennesimo psicodramma: un altro membro dell'esecutivo a un passo dall'addio. E proprio in quel momento, Gianni Letta, ha deciso di tentare l'ultima mediazione. L'estrema trattativa con Gianfranco Fini. È entrato alla Camera da un ingresso secondario e si è diretto al primo piano, nello studio del presidente. Una mossa concordata poco prima con Silvio Berlusconi in partenza per il G20 di Seul. "Se si tratta di fare una crisi pilotata, solo un passaggio rapido al Quirinale e una compagine governativa rinnovata - queste le condizioni dettata dal Cavaliere al suo braccio destro - allora se ne può parlare".

Ma la risposta ricevuta dal "plenipotenziario" di Palazzo Chigi non è certo stata delle più confortanti. "Ma di che stai parlando? Questa - lo ha rimbrottato - è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Io non posso fare tutto questo per due ministeri in più". Fini vuole la "svolta". Un nuovo equilibrio nella politica italiana. E, infatti, l'unica ipotesi che i finiani prendono in considerazione per ricucire con "questo centrodestra", è il "passo indietro del Cavaliere". Un concetto che il leader di Futuro e Libertà ha ripetuto ai suoi fedelissimi: "È chiaro, che se il nuovo governo fosse presieduto da un altro, da Tremonti, da Maroni, da Letta o da Alfano, tutto cambierebbe. Sarebbe un'altra partita".

Un'opzione, però, inaccettabile per il presidente del consiglio. Non a caso il suo sottosegretario l'ha deliberatamente scartata in anticipo: "È chiaro - ha spiegato a Fini - che il capo del governo sarebbe Silvio. Lui non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Su questo nessuna trattativa è possibile".

Il rapporto tra Letta e l'inquilino di Montecitorio, anche in questa fase di maggior attrito nel centrodestra, è sempre scivolato sui binari della cordialità. E anche stavolta il clima tra i due è rimasto privo di ostilità. Tanto che lo stesso sottosegretario, di fronte alle argomentazioni esposte si è limitato a dire sconsolato: "Me ne rendo conto".

Subito dopo, Letta ha riferito a Berlusconi l'esito della missione. Facendo cadere il castello di certezze costruito nelle ultime ora dagli ambasciatori lumbard. Che nei contatti informali con Fini avevano invece prospettato alcune soluzioni per solleticare l'ex alleato: tre dicasteri a Fli, il siluramento degli ex colonnelli di An come La Russa e Matteoli, la riforma elettorale e il quoziente familiare per invogliare i centristi dell'Udc. E, se fosse possibile, il coinvolgimento diretto di Fini e Casini nella "squadra". Non è un caso che stamattina per rendere più concreta l'offerta, il Pdl ha improvvisamente riunito il gruppo del Senato per mettere in campo una nuova legge elettorale. E dal cilindro è uscita la modifica del porcellum con l'introduzione di una soglia minima per accedere al premio di maggioranza o addirittura il ritorno al Mattarellum (il Cavaliere ha già ordinato dei sondaggi per verificare il risultato dell'asse Pdl-Lega se venisse ripristinato il vecchio sistema).

Tutte ipotesi, però, che l'uomo di Montecitorio ha declinato rinviando all'incontro di stamane con Umberto Bossi. E forse quel "vediamo con Bossi", è stato male interpretato dai big lumbard come Maroni e Calderoli. Tant'è che il summit di oggi viene considerato una sorta di formalità. Basti pensare alla domanda che ancora Letta ha posto ieri al presidente della Camera prima di salutarlo. "E la finanziaria? Su quella cosa fate?". "Faremo in modo - ha replicato - che venga approvata". Una formula che non ha affatto tranquillizzato l'emissario berlusconiano.

In effetti, il percorso studiato dallo stato maggiore di Fli - a meno che Berlusconi non faccia davvero un passo indietro - prevede un
escalation rapidissima. Se Tremonti porrà la fiducia sulla manovra economica, ad esempio, i finiani non parteciperanno al voto. Approveranno la Finanziaria ma non la fiducia. "Se questo non bastasse a far dimettere Berlusconi - spiegano gli uomini del presidente della Camera - allora dopo il via libera definitivo alla legge di stabilità, saranno i gruppi di Futuro e Libertà a presentare la mozione di sfiducia". Un destino, insomma, che i finiani considerano ormai segnato. Tanto da aver messo già in programma per sabato mattina le dimissioni della delegazione governativa. La data è stata scelta per aspettare che il presidente del consiglio torni in Italia dopo il G20 coreano.

"Io però - ha fatto sapere Berlusconi - vado avanti comunque. aspetto la sfiducia". Sebbene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si aspetti un passaggio sul Colle da parte del premier dopo l'addio dei finiani. E ieri, durante il Consiglio Supremo di difesa, non ha nascosto di voler mantenere una linea di totale equidistanza in vista dell'apertura della crisi: ha evitato con cura di parlare con il capo del governo della situazione politica.

L'ultimo capitolo del rapporto tra Fini e Berlusconi, quindi, verrà scritto solo quando sarà stata votata la sfiducia. Fino a quel momento il Cavaliere vuole tirare avanti e prendere tempo. Per dare corpo ad una nuova campagna acquisti che impedisca la nascita di un esecutivo tecnico. E per far svanire uno degli incubi che da qualche giorno si materializza nei ragionamenti del Cavaliere: "E se Bossi, a crisi aperta, facesse un passo verso chi vuole far nascere un altro governo?". Perché almeno ad un tavolo, il Senatur vorrà comunque sedersi: quello della riforma elettorale.

(11 novembre 2010)

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