mercoledì 17 novembre 2010

Via dal teatrino della televisione


di CURZIO MALTESE

"Vieni via con me" era la più bella canzone italiana ed è ora il titolo di una trasmissione piena di difetti, come ha notato la critica laureata. Ma chi se ne frega. È un evento storico, segnala la morte del berlusconismo televisivo.
Il prodromo, l'archetipo, l'ideologia, il fondamento degli ultimi vent'anni di politica. Un programma che batte il Grande Fratello non soltanto con uno strepitoso Benigni, che sarebbe comprensibile, ma con don Gallo e le storie dei rom o della 'ndrangheta dell'hinterland milanese, non è un fenomeno di costume, ma la spia di una svolta della società italiana.

Il teatrino della televisione è l'antefatto del teatrino della politica, bersaglio preferito di Berlusconi. Nel bene o nel male, nel teatrino della politica stanno accadendo cose importanti e nuove, come la crisi finale del berlusconismo. Nel teatrino televisivo è invece tutto immobile da vent'anni, almeno all'apparenza. Il berlusconismo impera, dal Tg1 ai quiz, all'ultimo programma per casalinghe del mattino o del pomeriggio. Tutti i talk show, anche quelli alternativi e "contro", sono monopolizzati da una compagnia di giro formata al massimo da venti persone che campano negli studi congiunti Rai-Mediaset e trasmigrano da un canale all'altro, da Vespa a Santoro a Ballarò, formando un'unica marmellata. Dal punto di vista stilistico, non dei contenuti per carità, questo rende Annozero altrettanto bolsa di Porta a Porta. L'operaio in sciopero, la cittadinanza in rivolta, il disoccupato napoletano sono soltanto la scenografia esterna, le comparse di contorno dell'interminabile, incomprensibile e in definitivo inutile pollaio da studio.

Il primo merito di "Vieni via con me" è di rompere questa rappresentazione. Non c'è teatrino. Si possono vedere e ascoltare davvero personaggi e temi espulsi da anni dalla televisione. Ligabue e i rom, Benigni e la laicità dello Stato, don Gallo e la prostituzione da strada, Paolo Rossi e l'immigrazione. Non a caso, i meno efficaci l'altra sera erano i temutissimi Fini e Bersani. La solita guerra censoria del berlusconismo è stavolta particolarmente grottesca e inefficace perché è chiaro a tutti, anche agli elettori del centrodestra, che "Vieni via con me" a differenza di altri programmi "proibiti" non conduce battaglie politiche, ma sociali. Ed è un'altra ragione per cui rappresenta un'oasi dal teatrino politico-televisivo.

Non saprei neppure dire se è televisione nuova o vecchissima, post berlusconiana o magari pre berlusconiana, con sapori di Rai d'una volta, Barbato e Biagi, TvSette e "Non è mai troppo tardi". È piena di difetti, si diceva. Lenta, a tratti pedante, ossessionata dagli elenchi, politicamente troppo corretta. Roberto Saviano spiega la 'ndrangheta in Lombardia come il maestro Manzi spiegava la grammatica, in maniera quasi ingenua, che può far ridere i giornalisti che si occupano di questi argomenti da decenni. Ma siccome Saviano porta queste conoscenze da specialisti a nove milioni d'italiani, come con Gomorra a decine di milioni di lettori, siamo noi a far ridere. L'unica cosa che si può fare con Saviano è di ringraziarlo, volergli bene e proteggerlo con la popolarità dalla ferocia dei suoi nemici. Quelli con i kalashnikov e gli altri in doppiopetto.

Roberto Maroni è un buon ministro degli interni, seriamente impegnato nella lotta alle mafie. Ma quando per amore di bandiera nega il dato storico dello sviluppo della 'ndrangheta anche nella Lombardia leghista e rifiuta anche soltanto di discuterne, non diciamo d'indagare, si comporta da politicante da quattro soldi.
Il successo di "Vieni via con me" va comunque oltre queste polemiche e i tentativi di censura. È l'epifania di un cambiamento negli umori del Paese. Con una tv di servizio pubblico da anni Settanta, il programma d'arte varia di Fazio e Saviano ha intercettato paradossalmente un bisogno di nuovi codici e linguaggi; ha ricondotto alla platea Rai un pubblico giovane e colto che da tempo aveva abbandonato disgustato le reti pubbliche per fuggire ovunque, da Mentana a Sky. È stata una piccola, imprevedibile rivoluzione televisiva. Dopo tanti anni, certo. Ma non è mai troppo tardi.

(17 novembre 2010)

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