mercoledì 17 novembre 2010

NEL PD BERSANI È SEMPRE PIÙ SOLO


Penati dà le dimissioni dalla segreteria

di Luca Telese

Dunque Filippo Penati si dimette. Dal punto di vista strettamente tecnico abbandona solo il coordinamento della segreteria di Pier Luigi Bersani. Ma dal punto di vista simbolico (e politico) lo fa dopo la sconfitta del Pd alle primarie di Milano, e l’incoronazione di Giuliano Pisapia. Se serviva un fatto che segnalasse plasticamente la connessione fra la disfatta di Milano e la crisi di ruolo nazionale, il gesto di Penati – uno dei principali artefici della vittoria dell’attuale segretario – non poteva essere il segnale più chiaro. E intanto nel Pd esplode la polemica sull’uso delle primarie: i veltroniani scalpitano, mentre si rafforza la posizione “luterana” di Matteo Renzi, rottamatore e riformatore del partito. È in questo clima che ieri si è arrivati a una riunione dei gruppi dirigenti che fotografava lo stato di incertezza: la maggioranza del congresso inizia a sgretolarsi, una decina di dirigenti centristi hanno già dato vita a una diaspora, il capo segreteria è dimissionario, il numero due, Enrico Letta, non nasconde disagio politico (e su Milano ha speso parole insolitamente dure).

SE VUOI capire cosa accade nel Pd devi dare un occhio al calendario. Il 25, ancora una volta con un’implicazione simbolica molto forte, Nichi Vendola sbarca a Bologna intervenendo anche in quelle primarie, con una operazione estremamente abile: ovvero il sostegno a una candidata cattolica del tutto invisa e contrapposta agli apparati. Il 26 novembre, a Roma, si riunisce all’Eliseo la componente di Walter Veltroni e Giuseppe Fioroni. A quelli che si riconoscono da sempre nelle loro posizioni, stavolta, si aggiungono personalità del calibro di Sergio Chiamparino. È una sorta di contro-manifesto, la vetrina del Pd che sarebbe potuto essere e non è stato. Se parli con Walter Verini, demiurgo del veltronismo reale, capisci che il disagio sta crescendo di ora in ora e che Bersani dovrà dare risposte: “Primo. Per noi non esiste l’idea di sparare sul quartier generale approfittando di una sconfitta e in un momento di evidente difficoltà politica”. Però... “Però nulla ci può impedire di lanciare un allarme sulla nostra crisi di ruolo”. Qui il discorso si fa interessante, anche perché l’assemblea dell’Eliseo è propedeutica alla riunione del 15 gennaio 2011 al Lingotto, la vera epifania del neo-Veltronismo, quasi un contro-congresso. “Parliamoci chiaro – spiega Verini – Milano è un campanello d’allarme. Il partito si chiude in se stesso, rinuncia alla vocazione maggioritaria, alla sfida di rappresentanza della società. La linea è confusa, cambia di ora in ora e per il momento sembra puntare tutto su un’alleanza con il Terzo polo pur di battere Berlusconi”. Il risultato? “Che noi finiamo per perdere sia al centro che a sinistra, dove, passatemi il termine orribile, ‘la narrazione’ carismatica di Vendola è più forte della nostra. Se infine – conclude Velardi – l’asse con Fini e Casini non riesce, il rischio è finire come quel personaggio dei Soliti ignoti che si lamentava sconsolato: ‘M’hanno lasciato solo’”.

È DAVVERO così drammatica la situazione? Di sicuro gli addii hanno lasciato il segno: il prefetto Serra e la Binetti sono ormai nell’Udc. Non c’è più Calearo. Rutelli gioca in proprio. Ma Bersani ostenta sicurezza e a chi gli faceva notare che l'elenco delle cose di destra di Gianfranco Fini a Vieni via con me assomigliava al suo spiegava divertito: “Se c'è uno che si è spostato è lui...”. Ieri, però, alla Camera, il segretario e i vertici dei gruppi parlamentari hanno riunito una sorta di gabinetto di crisi per esaminare la situazione. C'erano, fra gli altri, Dario Franceschini e Anna Finocchiaro. Il Pd punta tutto su un percorso parlamentare per garantire che la mozione di sfiducia al governo sia votata subito . Il segretario preferisce stringere i denti e sacrificare qualcosa sul piano dell’immagine e della critica degli avversari interni, ma portare a casa una nuova maggioranza parlamentare e la rimozione di Berlusconi.

La lettera di dimissioni di Penati, in questo scenario, è una fotografia interessante: “È necessaria una mia assunzione di responsabilità – scrive – proprio perché penso che la vittoria alle comunali di Milano sia più importante delle vicende personali. Per questo continuerò ad impegnarmi con convinzione e perché credo che con Pisapia si possa vincere”.

PAROLE che dissolvono le illusioni di chi, in queste ore, immaginava un cambio di cavallo con il partito che punta tutto sulla candidatura terzopolista di Gabriele Albertini. Penati difende il gruppo dirigente milanese: "Io - spiega - ho condiviso e sostenuto la scelta di candidare Boeri. Al giovane gruppo dirigente, chiedo di riconfermare la fiducia”. Poi la stoccata, che parla di Milano, ma vale anche sul piano nazionale: “Ora - conclude Penati che serve è chiudere in fretta il confronto nel nostro partito”. Ma ovviamente c’è anche chi manifesta il suo disagio sullo strumento stesso delle primarie. Dice Giorgio Merlo, Pd, vicepresidente della Vigilanza: “Ora serve non solo un ripensamento, seppur tardivo, come auspica Rosy Bindi, sulle primarie, ma una iniziativa politica per evitare la perpetuazione di regole che diventano un boomerang”. Parole che esprimono un mal di pancia diffuso. “Le primarie sono uno straordinario momento di democrazia partecipata”, risponde Ignazio Marino”. Ma la voce più forte è quella del “rottamatore” Matteo Renzi: “Sono una risposta alla crisi della rappresentanza, un marchio di fabbrica del Pd. Penso sia assurdo pensare di farne a meno”. La vera battaglia inizia solo ora.

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