CARMELO LOPAPA
Alla "cena degli ossi" di Calalzo di Cadore alla fine non è andato. "Non ce n'era bisogno, con Umberto ormai ho chiarito" racconta ai suoi il premier Berlusconi, di rientro ad Arcore dopo la puntata romana. "Non aveva alcuna voglia di incontrare Giulio Tremonti e fare come se nulla fosse successo" spiegano con maggiore schiettezza i più stretti collaboratori.
Eccolo l'equilibrio provvisorio sul quale si reggono le speranze del presidente del Consiglio di portare avanti la legislatura: guardia alta nei confronti del superministro, patto di ferro col Senatur. Per tutta la giornata lo ha ribadito a sottosegretari incontrati, ai capigruppo e ai pochi ministri rientrati dalle vacanze: "L'accordo con Umberto tiene e lui mi garantisce che farà rientrare anche Tremonti. Senza l'aiuto della Lega, Giulio può scordarsi per ora le elezioni anticipate". A Bossi, ancora una volta, Berlusconi manda a dire attraverso Calderoli che riuscirà a portare in maggioranza una dozzina di nuovi deputati da Fli, Udc - anche se dai centristi piovono solo prese di distanza - e perfino Idv, intestarditosi sul malcontento nel partito di Di Pietro. E che dunque i decreti sul federalismo "non correranno rischi".
"Sì, l'accordo con Bossi regge ed è un accordo fondato sul buon senso - conferma Gaetano Quagliariello - D'altronde, ha ragione anche lui: se la maggioranza c'è, per quanto risicata, si va avanti, diversamente si andrà a votare". Resta sullo sfondo il gelo tra il premier e il ministro dell'Economia. Ormai additato nei dialoghi privati del Cavaliere, come dalle colonne del quotidiano di famiglia, quale il vero regista dell'operazione "voto anticipato". I due non si sentono da giorni. Non tanti, raccontano, comunque sufficienti per lasciar sedimentare i sospetti reciproci e logorare la relazione. D'altronde, a sentire un ministro pidiellino, "ormai Giulio sta giocando due partite: una nobile e comprensibile, perché fare il ministro dell'Economia con una maggioranza a rischio è impresa ardua; uno meno nobile, perché si è ormai convinto di essere il candidato unico per un governo di larghe intese in caso di voto e mancato successo del centrodestra al Senato". Questi i sospetti, questo il clima.
Ad ogni buon conto, le "manovre di palazzo" ordite per disarcionarlo non avranno successo, va ripetendo il Cavaliere nelle telefonate alle sue tv e ancora più nei colloqui riservati: "Non andremo al voto anticipato, non lo permetterò, non certo a marzo". E la sua strategia è assai spicciola e concreta. "Se ne parlerà a giugno se non a ottobre: abbiamo bisogno di tempo per lavorare a un accordo elettorale con Casini". Occorre "una verifica seria con i centristi" vanno ripetendo ora dal Pdl Cicchitto e Napoli. Non a caso. Berlusconi si è ormai convinto che il leader Udc non permetterà che si torni a votare a stretto giro. I due, nell'ultima telefonata per lo scambio di auguri alla vigilia di Natale, si sono dati appuntamento alla ripresa. Ma i segnali indiretti che dalle Maldive gli fa giungere l'amico Pier, Berlusconi li ritiene comunque rassicuranti. A cominciare dalla disponibilità manifestata proprio nelle ultime ore dai centristi a votare il decreto sul federalismo municipale, a condizione però che contenga le coperture per quoziente familiare e cedolare secca.
Ecco, quelle coperture - qui l'altro punto di frizione con Tremonti - il ministero di via XX Settembre le dovrà trovare, è il diktat del premier, costi quel che costi. Le residue chance di un patto elettorale coi centristi si giocano anche sui cordoni della borsa. Ma esistono davvero le condizioni per un'intesa Pdl-Udc? Per i leghisti è fumo negli occhi. Casini, dal canto suo, ha in serbo accordi pesanti col Pd su importanti piazze, in vista delle amministrative di primavera. Per non dire del nascente Polo della Nazione: l'asse Fini-Casini al momento appare solido, infrangibile a sentire i loro luogotenenti. L'inquilino di Palazzo Chigi è convinto del contrario. Intenzionato piuttosto ad infrangerlo alla ripresa dei lavori parlamentari, con due mosse. La prima, con l'apertura ai centristi sul quoziente familiare, appunto. La seconda, con le leggi di bio-etica che il vicepresidente pidiellino della Camera, Maurizio Lupi, ha già preannunciato per il calendario di gennaio. Gianfranco Fini è più preoccupato della "macchina del fango" che vede in moto contro di lui, piuttosto che degli agguati d'aula. Tanto più che su testamento biologico e altri ddl "etici" la linea ai suoi sarà quella della "libertà di coscienza".
(05 gennaio 2011)
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