sabato 1 gennaio 2011

Vogliamo i colonnelli


BRUNO TINTI

Da quando è arrivato B. si parla di berlusconismo: un uomo solo al comando, pragmatismo efficiente, volontà del fare contrapposta a indecisioni paranormative. Caratteristiche che, per gente come B, sono qualità: un uomo illuminato pronto ad accettare poteri rilevanti e ad utilizzarli con la spregiudicatezza necessaria. Tutto sbagliato. Se mai un uomo è stato lontano da questa figura di dittatore classico (tipo Pericle, diciamo) questi è stato B. Uomo meschino, legato ai suoi interessi personali, ha utilizzato il potere improvvidamente conferitogli solo per evitare la prigione, come un lucido Confalonieri aveva commentato all’inizio della sua avventura politica. Sicché, parlare di berlusconismo come definizione teorica della sua gestione è fuor di luogo. Abuso d’ufficio (o interesse privato in atti d’ufficio se il reato esistesse ancora), questa è stata l’era berlusconiana.

Tuttavia il berlusconismo ha caratterizzato molti politici, non necessariamente meschini, avidi, disonesti. Uno di questi è stato D’Alema.
Come tutti ricordiamo l’ex ministro degli esteri ha spiegato all’ambasciatore Usa in Italia che “la magistratura italiana è la più grande minaccia per lo Stato”. Non credo esista chi presta fede alla sua smentita. E quindi, dato per scontato che questa frase fu effettivamente pronunciata, vediamo cosa essa presuppone.

Tutti sanno che compito della magistratura è garantire l’osservanza della legge, attribuendo torti e ragioni e condannando chi la vìola. In una parola, la magistratura presiede all’osservanza delle regole. In uno Stato democratico, caratteristica delle regole è la loro validità universale. Al di là dell’art. 3 della Costituzione, è insito nel concetto di regola che essa si applica a tutti. Se così non avviene, non si è in democrazia.

Persone con una visione miope della storia e della politica hanno ceduto spesso al fascino dell’eccezione: il fine giustifica i mezzi; questa volta, e solo per questa volta, la regola può essere violata; l’interesse dello Stato richiede un atto coraggioso; etc etc. Visione miope, perché inquinata dalla soggettività della valutazione. Chi lo ha detto che questo fine è degno di essere perseguito a qualsiasi costo? Chi ha stabilito che, questa volta e solo questa volta, c’è un interesse primario da tutelare anche violando le regole? E quando qualcun altro applicherà questi stessi metodi a fini e interessi che non condividiamo, che facciamo?

Non sto leggendo nell’animo di D’Alema; sto deducendo dalle sue azioni. Tra tutte, l’appoggio a Ricucci per la scalata a Bnl. Il ministro degli esteri della Repubblica poteva avere le sue buone ragioni per appoggiare una scalata bancaria illegale: il vantaggio economico dell’operazione non solo per Ricucci ma, dal suo punto di vista, per il Paese, potrebbe averlo indotto ad una sponsorizzazione inopportuna e anche al riconoscimento, per improbabili alleati, di “contropartite” di cui mai ha voluto rivelare la natura. Ma tutto questo è, appunto, fuori delle regole ed è normale che la magistratura sia intervenuta.
Non una minaccia per lo Stato ma per chi ne viola le regole.

Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2010

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