di Marco Travaglio
Un mesto comunicato di poche righe su Libero, a pagina 4 in basso a destra sotto il funereo occhiello “L’addio”, informa: “Feltri lascia Libero”.
Attacchi di labirintite fra i lettori, che hanno come l’impressione di aver già letto la notizia da qualche parte.
Li aiutiamo: l’han già letta su Libero nell’estate 2009, quando Feltri tornò al Giornale dov’era arrivato una prima volta nel gennaio '94 per poi andarsene nel novembre '97.
I lettori del Giornale, dal canto loro, stanno per imbattersi nel titolo “Feltri torna al Giornale”. E anch’essi verranno colti dalla sgradevole sensazione di averlo già letto un paio di volte. Già, perché è la terza volta in 17 anni che il popolare Littorio arriva al Giornale che fu (di Montanelli).
Sembra ieri che se n’era andato perché – spiegò diventando direttore editoriale di Libero in tandem col direttore responsabile Belpietro – “d’ora in poi potremo essere berlusconiani, se ci garba, senza essere pagati da Berlusconi. Saremo gli unici in Italia a non essere pagati da lui” (in realtà sia l’uno sia l’altro lo erano ancora: Feltri per la rubrica su Panorama, Belpietro per il programmino su Canale 5).
Come potesse quel geniaccio di Feltri andar d’accordo con un Belpietro apparve incomprensibile ai più. Se i carabinieri delle barzellette girano in coppia perché uno sa leggere e l’altro sa scrivere, nessuno ha mai capito cosa sappia fare Belpietro. Eppoi, dopo un decennio di convivenza, la coppia era già scoppiata ai tempi del Giornale, quando Mento nel Mento tradì il suo pigmalione per andare a dirigere il Tempo e l’altro si vendicò mettendosi col primo che passava per strada: Sallusti. Prettypeter lo ripagò attaccandolo su Panorama perché Libero prendeva soldi pubblici. Ma alla vigilia dell’ultimo Natale i dioscuri tornarono insieme, come nulla fosse accaduto, all’insegna della più sfrenata libertà.
Annunciarono persino di esser diventati i padroni di se stessi, svenandosi per acquistare il 20% di Libero (11 mila euro a testa: un salasso che mette a serio repentaglio gli eredi). Belpietro sporse il mento un po’ troppo in fuori: “Se B. farà una pirlata glielo diremo (poi naturalmente lasciò l’incombenza a Littorio, ndr). Abbiamo rimesso insieme una coppia che in passato ha funzionato...”. E Feltri: “...e chissà che non riesca a fare ancora meglio”.
Era il 21 dicembre. Ora, meno di sei mesi dopo, è già tutto finito. “Sia per me sia per Libero è meglio cambiare”, annuncia Littorio col trolley in mano, “un’auto non si può guidare in due, perché ha un volante solo. E poi a Libero ho trovato un ambiente diverso da quello che avevo lasciato”. Un modo elegante per dire che ha trovato Belpietro. Il guaio è che al Giornale troverà Sallusti e
A questo proposito, vi fu anche una certa transumanza di palafrenieri: Mario Giordano da Libero al Giornale e Massimo de’ Manzoni, col suo piedistallo e il suo cognome francamente eccessivo, dal Giornale a Libero. Torneranno alle rispettive postazioni o resteranno in ostaggio al nemico per esserne scuoiati vivi? Questa quadriglia avanti e 'ndrè ben simboleggia lo stato confusionale del Pdl, in ossequio al regolamento della Real Marina delle Due Sicilie: “All’ordine Facite Ammuina, tutti chilli che stanno a prora vann'a poppa e chilli che stann'a poppa vann'a prora, chilli che stann'a dritta vann'a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann'a dritta... passann' tutti p'o stesso pertuso; chi nun tene nient'a ffà, s'aremeni a 'cca e a 'llà”.
Intanto molti lettori del Giornale hanno seguito molti elettori Pdl: fuggiti.
L’altro giorno Francesco Specchia, giornalista di Libero con nostalgie montanelliane, ridacchiava: “La differenza tra il Giornale di Montanelli e quello di Sallusti è che il primo aveva come unico padrone il lettore, il secondo invece ha come unico lettore il padrone”.
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