ANDREA GIAMBARTOLOMEI
Roberto Cota trema ancora. Il consigliere regionale Michele Giovine, eletto nella lista “Pensionati per Cota”, è stato condannato a due anni e otto mesi nel caso delle firme false per l’accettazione delle candidature alle scorse elezioni in Piemonte.
I suoi voti hanno permesso al governatore leghista di superare la presidente uscente, Mercedes Bresso. Anche il padre del consigliere regionale, Carlo Giovine, è stato condannato a due anni e due mesi. Il giudice del Tribunale di Torino, Alessandro Santangelo, ha dichiarato false tutte le 17 firme disponendo l’interdizione dai pubblici uffici di Giovine senior per un anno e sei mesi e di Michele per due anni. Inoltre il consigliere regionale è stato anche privato dei diritti elettorali per cinque anni.
Contro di lui il pm Patrizia Caputo aveva richiesto una condanna a tre anni e 6 mesi, più l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni; una pena di due anni e 6 mesi era stata chiesta contro Giovine senior insieme all’interdizione dagli uffici pubblici e il divieto di candidatura per la durata della pena. “Me l’aspettavo, non c’è niente di nuovo sotto il sole. Non credo che ricorrerò”, ha detto Giovine all’uscita dall’aula andando contro l’opinione del suo difensore Cesare Zaccone, che ha annunciato già il ricorso.
Soddisfatta
Giovine avrebbe potuto convalidare la sua lista in maniera molto semplice, ma non l’ha fatto. Bastava rispettare una specifica legge regionale, emanata durante il governo Bresso su forte spinta degli “habitué” delle liste civetta, tra cui figura anche lui. La norma facilita il gioco ai consiglieri già in carica: non devono raccogliere le firme dei cittadini per presentare le proprie liste, ma solo autenticare quelle dei candidati davanti a un notaio o un pubblico ufficiale. E pubblici ufficiali i Giovine lo sono. Michele (in passato già coinvolto in un processo per firme false da cui si è salvato per la prescrizione del reato) è consigliere comunale a Gurro (Verbania), mentre il padre Carlo è consigliere comunale a Miasino (Novara). I due potevano autenticare le firme dei loro candidati nei rispettivi comuni. Niente di più semplice, eppure secondo gli inquirenti i Giovine non hanno fatto neanche il minimo: le firme poste sulle liste non sono quelle dei candidati (quasi tutti parenti e anziani conoscenti, spesso abitanti in altre regioni) davanti ai due “ufficiali” nei municipi di Gurro e Miasino il 25 febbraio 2010 perché quel giorno i Giovine non erano in quei comuni: dall’analisi delle utenze telefoniche risulta che Michele non era a Gurro, ma a Torino; il padre non era a Miasino, ma in giro per altre province del Piemonte; e non erano né a Gurro né a Miasino neanche i candidati, cinque dei quali hanno dichiarato al giudice Santangelo di non aver proprio posto la loro firma sui moduli elettorali. “Tutte queste falsità sono confluite in un’unica falsità che è la lista elettorale. Un fatto estremamente grave perché è lo sfregio più totale di ogni forma di legalità”, ha sostenuto il pm Caputo nella requisitoria del 25 maggio scorso. A questo comportamento, “si aggiunge un reiterato inquinamento probatorio mai visto prima”: molti testimoni sono stati contattati prima delle udienze e istruiti sulla versione da fornire.
Il 6 ottobre prossimo
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