di Giorgio Meletti
Dev’essere un incubo. Gli stessi che oggi si affannano al capezzale del mostruoso debito pubblico dicendo che bisogna fare qualcosa prima che sia troppo tardi, trent’anni fa erano lì e dicevano le stesse cose.
Erano gli anni ‘80, governava Bettino Craxi, il debito esplodeva, in dieci anni da 200 a circa 1000 miliardi di euro, dal 60 per cento al 100 per cento del prodotto interno lordo. Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema, all’opposizione con Francesco Rutelli e Gianfranco Fini: Maurizio Sacconi e Roberto Formigoni con il governo, Giulio Tremonti editorialista del Corriere della Sera, Gianni Letta brillante intervistatore Fininvest. Tutti preoccupati di fare qualcosa per non essere condannati dalle successive generazioni. Una generazione è passata, il debito si è decuplicato e sfiora i 2 mila miliardi, e loro sono ancora lì a preoccuparsi. Possibile? Leggere per credere.
Ottobre 1983: il debito pubblico è 221 miliardi di euro.
Giorgio Napolitano, 58 anni, capogruppo del Pci alla Camera: “Si è dato spazio alla tesi inaccettabile secondo cui la riduzione del disavanzo pubblico sarebbe condizione sufficiente per una graduale e spontanea ripresa di investimenti e occupazione”.
Gennaio 1984: il debito pubblico è 234 miliardi.
Maurizio Sacconi, 33 anni, deputato socialista, relatore della legge Finanziaria: “La riunione di oggi è stata molto utile e ha definitivamente smitizzato ogni drammatizzazione sul presunto sfondamento del tetto e riscontrato l'unanime giudizio che i problemi della finanza pubblica non si risolvono con atti traumatici a breve”.
Settembre 1985: il debito pubblico è 289 miliardi.
Maurizio Sacconi, 35 anni, relatore della legge Finanziaria: “Il necessario rigore nelle spese sociali si legittima nella misura in cui si accompagna con significative riforme fiscali (fiscal drag e tassazione dei titoli di Stato) e misure volte a creare occupazione".
Ottobre 1985: il debito pubblico è 336 miliardi.
Massimo D’Alema, 36 anni, membro della Direzione nazionale del Pci: “Il fallimento del pentapartito è facilmente riscontrabile nell'incapacità dimostrata a fronteggiare la crisi economica, nei contrasti sulla legge finanziaria. Il Pci dovrà riflettere con i cittadini, e non solo nel chiuso delle stanze, su questi problemi”.
Gennaio 1986: il debito pubblico è 347 miliardi di euro.
Giorgio Napolitano, 60 anni, capogruppo del Pci alla Camera: “I partiti di governo dovrebbero trarre, per ragioni di serietà politica, due conseguenze. In primo luogo interrogarsi sul modo di avviare un confronto senza pregiudiziali tra tutte le forze democratiche sul debito pubblico”.
Agosto 1987: il debito pubblico è salito a 441 miliardi di euro.
Francesco Rutelli, 33 anni, capogruppo dei Radicali alla Camera: “Governo e Parlamento debbono lanciare un grande e serio programma pluriennale di rientro dai 900 mila miliardi di indebitamento pubblico”.
Febbraio 1988: il debito pubblico è a 467 miliardi di euro.
Roberto Formigoni, 40 anni, deputato Dc: “Dopo l'approvazione della legge finanziaria e del bilancio non basterà un chiarimento: si dovrà fare un accordo vero, per formare un governo vero, che risponda alle esigenze della gente”.
Aprile 1988: il debito pubblico è a quota 482 miliardi di euro.
Gianfranco Fini, 36 anni, segretario del Msi-Dn: “L'azzeramento del deficit statale entro il '92 è una utopia. Ma con un incubo: quello dell'inasprimento del prelievo”.
Settembre 1988, il debito pubblico è salito a 510 miliardi.
Bruno Tabacci, 41 anni, presidente della regione Lombardia: “Dobbiamo auspicare un deciso controllo dei meccanismi di spesa, non con un'azione di tagli occasionali, ma con una visione di lungo periodo”.
Luglio 1989: il debito pubblico è a quota 553 miliardi.
Franco Marini, 56 anni, segretario generale della Cisl: “Occorre chiudere definitivamente il ciclo della gestione meramente contabile della finanza pubblica, liquidando ogni illusoria terapia d'urto, le spallate risolutive capaci di abbattere la montagna del debito pubblico”.
Ottobre 1989. il debito pubblico è arrivato a 571 miliardi.
Paolo Cirino Pomicino, 50 anni, ministro del Bilancio: “Sono molteplici gli elementi che hanno determinato la scomparsa della politica di bilancio dall'azione di governo dell'economia e i più importanti possono essere il progressivo irrigidimento della spesa per remunerazioni e prestazioni sociali, e il peso crescente degli interessi sul debito pubblico”.
Novembre 1990: il debito pubblico è arrivato a 656 miliardi.
Massimo D'Alema, 41 anni, coordinatore della segreteria nazionale del Pci: “Il giudizio negativo sulla manovra economica deriva dal carattere inefficace e iniquo delle scelte proposte e, nello stesso tempo, da una motivata sfiducia verso l'attuale governo. Si tratta di un passaggio delicato, con il rischio del combinarsi di una crisi sociale e di una crisi politica dello stato democratico".
Marzo 1992: è appena iniziata l’inchiesta Mani pulite. Il debito è arrivato a 778 miliardi.
Pierluigi Bersani, 40 anni, segretario regionale Pds: “Il progetto, approvato all'unanimità dalla direzione del Pds Emilia Romagna, prevede anche una fase transitoria per il rientro dal debito pubblico con una intesa da stipulare fra Stato e regioni”. Gianfranco Fini, 40 anni, segretario del Msi-Dn: “Per la voragine finanziaria, rappresentata da un debito pubblico enorme, c'è una sola cura: il deficit lo devono pagare i partiti togliendo le loro mani dalla gestione clientelare dell'economia”.
Luglio 1992: il debito è salito a 801 miliardi di euro.
Giulio Tremonti, 44 anni, docente, editorialista del Corriere delle Sera: "In realtà questo governo può e deve fare di meglio. Può aumentare le tasse, ma su chi non paga, usando da subito gli strumenti anti evasione“ che sono indicati nel suo programma”.
Febbraio 1993: il debito è a quota 862 miliardi di euro.
Gianni Letta, 57 anni, manager Fininvest e conduttore tv: “Il ministro del Tesoro, Piero Barucci, è l’ospite di ‘Italia domanda’, in onda alle 23,30 su Canale 5. Risponderà a domande sul debito pubblico, che supera il milione e 600 mila miliardi, e la turbolenza dei mercati valutari e borsistici”.
Luglio 1993: il debito è a quota 891 miliardi di euro.
Giulio Tremonti, editorialista del Corriere della Sera: “Si capiscono le drammatiche necessità della finanza pubblica, ma non le tortuosità e le chiacchiere. Se c’è gente che ha diritto di parlare sono i contribuenti e non i governanti. Il silenzio dei contribuenti è sempre più difficile da ottenere, quello dei governanti è sempre più desiderabile”.
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