di Marco Travaglio
Ringrazio l’on. pres. Massimo D’Alema per le cortesi risposte alle nostre obiezioni: dovrebbe essere normale che un politico risponda a un giornale, ma in Italia è un’eccezione.
Gli rinnoviamo però l’invito per un’ampia intervista nella redazione del Fatto, perché restano molti punti da chiarire.
1) Cesare De Piccoli, come tutti sanno in Veneto, nel '93 era un dalemiano di ferro: lo scrive anche il gup veneziano Vincenzo Santoro nel decreto di archiviazione che il 17 febbraio 2000 dichiara il suo reato “estinto per sopraggiunta prescrizione”. Si trattava di una tangente di 200 milioni di lire pagata nel '92 su un conto svizzero dell’ex Pci da Ugo Montevecchi, manager della Fiat Engineering. De Piccoli chiese di essere prosciolto nel merito, ma il gup rispose picche, visto “l’assai dettagliato tenore delle dichiarazioni rese da Montevecchi, il quale ha riferito di avere eseguito i summenzionati versamenti a favore della corrente veneta del Pds, vicina alle posizioni dell’on. Massimo D’Alema, e di cui era esponente l’on. De Piccoli, beneficiario finale delle erogazioni. La narrazione del Montevecchi trova obiettivi elementi di riscontro nel materiale probatorio”.
2) Anche sul finanziamento di 20 milioni di lire da Francesco Cavallari a D’Alema a metà anni ‘80, il gup barese Concetta Russi archivia il caso il 25 giugno '95, ma stabilisce che il “reato” c'era, ma è “estinto per intervenuta prescrizione”: “Le accuse formulate dal Cavallari ai politici appaiono intrinsecamente attendibili... Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti dal Cavallari (un contributo di lire 20 milioni in favore del Pci) ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di taluni marginali elementi circostanziali, hinc et inde riferiti, nella leale dichiarazione dell’on. Massimo D’Alema, segretario regionale pro tempore del Pci”.
3) Immunità europea sul caso Unipol. Non è vero che i giudici di Milano (il gip Clementina Forleo su richiesta della Procura) chiedessero di usare le intercettazioni D’Alema-Consorte per “usarle nel procedimento contro un’altra persona”, cioè Consorte: volevano usarle per indagare proprio su D’Alema per eventuale concorso nell’aggiotaggio contestato al patron di Unipol. Il Parlamento europeo negò loro l’autorizzazione a usarle, anche con i voti dei rappresentanti italiani del Pdl, della Lega e del Pd. Così come fece il Senato italiano nel caso analogo di Nicola Latorre.
4) Se Alberto Tedesco non è un dalemiano, perché Nichi Vendola racconta che gli fu suggerito come assessore alla Sanità proprio da D’Alema, senza che D’Alema l’abbia mai smentito? E perché il Pd pugliese, sul quale D’Alema esercita un discreto peso, fece in modo che approdasse al Senato nel seggio liberato da Paolo De Castro, altro dalemiano (e membro del comitato scientifico della fondazione Italianieuropei), nel frattempo candidato al Parlamento europeo?
5) Se abbiamo scritto che Vincenzo Morichini era “socio di barca” di D’Alema è perché è arcinoto che la barca “Ikarus” acquistata a metà degli anni ‘90 da D’Alema era intestata ai suoi amici Morichini e De Santis.
6) Se anche Morichini ha pagato i voli a D’Alema sul bimotore di Paganelli, il problema resta, perché non li ha pagati D’Alema, e nemmeno il Pd. Eppure D’Alema li usò anche per fare campagna elettorale nel 2008, il che fa di quei voli offerti da Morichini e/o da Paganelli una forma di finanziamento elettorale che sfugge alla legge che impone massima trasparenza sui fondi usati per l’attività politica. Il guaio raddoppia se si pensa che Morichini, mentre pagava i voli a D’Alema sugli aerei di Paganelli, brigava per favorire Paganelli all’Enac per la rotta dell’Elba tramite il responsabile Pd per i Trasporti, quel Pronzato che ora è in carcere per una tangente versata da Paganelli a lui e a Morichini.
7) Tanzi non ha parlato solo di pubblicità sulla rivista di Italianeuropei, ma anche di finanziamenti a D’Alema tramite Minniti: per questo, volendo, poteva essere querelato per calunnia da D’Alema e Minniti, sempreché avesse detto il falso.
8) Il parallelo fra gli inserzionisti pubblicitari del Fatto e i finanziatori di Italianieuropei non sta in piedi: il Fatto è un quotidiano edito da privati (e, com’è noto, quasi privo di pubblicità) e i suoi inserzionisti sono noti a chi lo legge ogni giorno; Italianieuropei è una fondazione presieduta da D’Alema, negli anni presidente Ds, presidente del Consiglio, presidente della Bicamerale, presidente del Copasir, europarlamentare e deputato. E i deputati, diversamente dai privati, devono documentare da chi vengono finanziati, direttamente o indirettamente. Aggiungo che, nell’ultima annata della rivista Italianieuropei, non ho trovato pagine pubblicitarie di Omega (Piccini) né di Rotkopf (Paganelli).
9) Non dubito che i finanziamenti di Italianieuropei siano tutti iscritti a bilancio né che D’Alema ignorasse i secondi fini di alcuni finanziatori di Italianieuropei “ingannati” da qualche suo fedelissimo. Ma pubblicare l’elenco completo su Internet sarebbe un’operazione di minima trasparenza, che nessuna legge sulla privacy può impedire. Soprattutto ora che due di questi finanziatori, Piccini e Paganelli, sono finiti in carcere per corruzione. I parlamentari inglesi pubblicano sul sito della Camera dei Comuni non solo i loro finanziatori (come dovrebbero fare anche i parlamentari italiani), ma persino le pezze d’appoggio dei loro rimborsi spese: è troppo pretendere che ciò avvenga anche in Italia?
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