sabato 13 agosto 2011

SULLE SPALLE DEGLI STATALI


45,5 miliardi di manovra, 20 nel 2012 e il conto lo pagano dipendenti pubblici e Regioni

di Stefano Feltri

Il pareggio di bilancio anticipato al 2013 lo pagano soprattutto gli statali e le Regioni. A loro il conto più pesante di una manovra che, stando ai numeri presentati ieri sera nel consiglio dei ministri, è diventata di 45,5 miliardi ma con il grosso della correzione, 20 miliardi, da scontare nel 2012 anziché nel 2013.

IN ATTESA della relazione tecnica che darà i numeri precisi, la sostanza è chiara: la botta agli statali è doppia.

La liquidazione (Tfr) viene ritardata di due anni. Chi va in pensione o si licenzia oggi, vedrà i soldi a cui ha diritto nel 2013. É una misura che non porta alcun risparmio strutturale, ma che serve a fare cassa da subito per dover emettere meno debito nel 2011. Con buona pace dei progetti che avevano fatto gli statali sulla propria liquidazione.

Seconda botta, questa davvero inedita: se i dipendenti di un ente della pubblica amministrazione non riescono a rispettare gli obiettivi di riduzione di spesa, addio alla tredicesima mensilità. I sindacati stanno già cercando di capire se la norma è incostituzionale.

C’è poi un altro colpo pesante nascosto: se il Parlamento non approva entro il 2011 (ed è quasi impossibile) la mega-riforma fiscale prevista da una legge delega, nel 2012 le tasse salgono di 4 miliardi con un taglio lineare di tutti i bonus fiscali. Agevolazioni, come quelle per i familiari a carico, di cui beneficiano soprattutto i contribuenti con un reddito medio basso come gli statali.

Le Regioni e i Comuni sono già disperati: oltre ai sei miliardi della manovra prima versione, quella approvata a luglio, vedono svanirne quasi altri 4. E dire che speravano ancora che il governo rispettasse la promessa di restituire anche quello che aveva tolto con la manovra 2010. Invece niente. E questo significa una sola cosa: più tasse locali, con l’Imu (l’imposta centrata sulla casa su cui si fonda in federalismo fiscale) e meno servizi, a cominciare dai trasporti pubblici. Altri 8,5 miliardi in due anni dipendono dai tagli ai ministeri, che sono facili da fare sulla carta e molto difficili da ottenere nella realtà. Questa è la sostanza.

SEGUE UNA LUNGA lista di balzelli, perché il resto della manovra si fa tutto dal lato delle entrate (cioè tasse), che forniscono il resto del gettito previsto. Salgono le tasse per i professionisti che guadagnano più di 55 mila euro. Ed è confermato il “contributo di solidarietà” (cioè un supplemento sull’Irpef) per i redditi che superano i 90 mila euro. É una specie di patrimoniale, parola impronunciabile per Berlusconi, che ha scelto questa strada proprio per evitare di essere accusato di replicare la manovra di Giuliano Amato nel 1992. Ma c’è una differenza sostanziale: la patrimoniale la pagano anche gli evasori, il prelievo straordinario sul reddito invece colpisce solo i pochi italiani con un reddito alto che lo dichiarano anche. Altri due miliardi arrivano dall’aumento dal 12,5 al 20 per cento dell’aliquota sui proventi finanziari, una misura da cui restano esclusi i titoli di Stato.

Tutto sarebbe stato più semplice se la Lega avesse acconsentito a un intervento drastico sulle pensioni, auspicato da molti perché non ha un impatto negativo sulla crescita. Invece niente, Umberto Bossi non ha ceduto (gran parte dei lavoratori con i contributi sufficienti alla pensione di anzianità sono al Nord) ed è passata solo l’ipotesi minima: l’aumento a 65 anni dell’età per le pensioni di vecchiaia delle donne nel settore privato, comunque graduale, previsto per il 2015 anziché al 2020. Restano le briciole – un miliardo nel 2012 – di quello che poteva essere l’intervento decisivo.

Fin qui, pensioni a parte, sono tutti interventi che avranno un impatto negativo sulla crescita. Perché se gli italiani hanno meno soldi in tasca – tra tagli e tasse aggiuntive – consumeranno meno, quindi il Pil crescerà anche meno dell’1 per cento previsto. Gli unici interventi per compensare questo effetto previsti dal governo sono una specie di lotta all’evasione, con la tracciabilità dei pagamenti a 2500 euro anziché a 5000 (il governo Prodi l’aveva portata a 500, poi Tremonti ha cancellato la norma), e l’accorpamento alla domenica dei tre giorni di festività laiche del calendario: niente ponti per lavorare, nel migliore dei casi, tre giorni in più all’anno. Cosa che farà aumentare, un po’, il Pil con sicurezza.

LA DOMANDA è se tutto questo basterà. Alla Banca centrale europea, che doveva essere convinta a continuare l’acquisto del nostro debito pubblico che nessuno vuole, e i mercati che diffidano della capacità di reazione dell’Italia alla crisi del debito pubblico. La risposta arriverà martedì: la manovra è rimasta circa la stessa che era stata bocciata un mese fa, con il pareggio di bilancio anticipato di un anno al prezzo di ulteriori colpi alla già fragile crescita del Pil. Difficile che l’umore e l’ottimismo degli investitori possa quindi cambiare radicalmente.

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