di Flavia Perina
È aperto il casting per il nuovo Pdl. Fabrizio Alfano ieri ha tracciato il profilo ideale del dirigente del futuro, che ruota tutto intorno alla parola “moderato”. Archiviata la collezione primavera-estate del Popolo della libertà, con le signore in tacco quindici e i signori in gessato da narcos, Angelino Alfano annuncia il cambio di nome, stile, profilo antropologico, con l’obiettivo di riconciliarsi con l’Udc all’ombra del Ppe. Tempi duri per le Santanchè, i La Russa, i Cicchitto, gli Stracquadanio e tutti quelli che si ostinano a proporsi come gli ultimi giapponesi del Cavaliere. Il generale Silvio ha già abbandonato la loro trincea da una settimana: da quando, alla Camera, nel dibattito sulla fiducia al governo Monti, ha ceduto il microfono ad Alfano gettando nello sconforto i teorici della guerriglia di palazzo, a cominciare da Giuliano Ferrara.
Non ci sarà il berlusconismo “di lotta e di governo” come speravano in molti. Non ci saranno le piazze contro il “golpe dei poteri forti”, la chiamata alle armi per difendere in tv e nelle strade i diritti del popolo tradito. La transizione che Berlusconi immagina sarà in stile democristiano, che poi è l’essenza profonda della sua permanenza al potere negli ultimi quindici anni: conservare le reti del potere reale pur facendo passi indietro nei palazzi politici, cercare la linea del compromesso, trasformare lo scontro frontale con gli avversari in una elaborata partita a scacchi. E se, come ha scritto giustamente “Il Fatto”, la genesi del berlusconismo va cercata nel pronunciamento del 24 novembre ‘93 a Casalecchio del Reno con l’endorsement pro-Fini, è possibile che la second life del Cavaliere sia cominciata nella stessa data, ieri, allo stadio San Siro, dove l’ex presidentissimo si è intrattenuto in tribuna d’onore con Matteo Renzi, in un lungo e sorridente colloquio registrato con orgoglio dall’house organ di famiglia. Secondo “Il Giornale”, Berlusconi “starebbe raccogliendo le forze per puntare a una grande coalizione sul modello tedesco che, al più tardi nel 2013 ma forse anche prima, raccolga le forze “migliori” del Pdl e anche del Pd, includendo nella grande ammucchiata anche l’Udc di Casini e perfino la Lega di Bossi”.
Un nuovo compromesso storico, determinato non più dall’emergenza terrorista, ma da quella finanziaria ?
Immaginare Bersani come Berlinguer o Berlusconi come Moro è semplicemente surreale. Ma la vecchia politica non se ne accorge. Crede davvero che basti un cambio di stagione, di look, la parola “moderato” al posto dei rutti e delle pernacchie, uno schema riesumato dalla notte della Repubblica, per cambiare tutto senza che cambi niente.
Non credo che ci riusciranno questa volta.
Qualcosa si è irrimediabilmente rotto nel rapporto tra le persone e i vecchi partiti, e non sarà sufficiente per rimetterla insieme l’appello a una categoria – i “moderati” – diventata decisamente marginale. Dalle elezioni al referendum gli italiani hanno chiaramente dimostrato che cercano schemi di cambiamento e talvolta di rottura assoluta con i modelli proposti sia dal centrodestra sia dal centrosinistra. E le classi dirigenti dei due schieramenti riuscirebbero solo a conquistare un definitivo discredito mettendo insieme le loro debolezze per reggere l'urto di una opinione pubblica infuriata per la crisi.
Quanto al Pdl, la strategia del lifting può aver funzionato in passato, ma ormai le rughe del berlusconismo sono così evidenti, così profonde, che non c’è operazione di chirurgia estetica capace di rimettere insieme un profilo decente: servirebbe quel che è successo nell’Inghilterra della Thatcher o nella Germania di Kohl, una simbolica “uccisione del padre” da parte dei suoi stessi discendenti. Ma qui, statene certi, nessuno ne avrà il coraggio né ora né mai.
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