LA CONFERENZA STAMPA DI
FINE ANNO DI MONTI NELLA NUOVA SALA DI PALAZZO CHIGI: E LO SHOW DIVENTA
SPETTACOLO DRAMMATICO
di Luca Telese
Prima di tutto i dati di fatto. Quella di oggi sarà la prima
conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio, dal 2008, in cui il presidente
del Consiglio non è Silvio Berlusconi. E già questa è una buona notizia.
Ma quando stamattina a mezzogiorno Mario Monti inizierà a parlare in
diretta tv e radiofonica di Rai, Mediaset e La7, gli italiani, anche al primo
colpo d’occhio, saranno comunque colti da un brivido di inquietudine. Perché
l’austera scenografia della sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio
presso la Galleria Colonna la conoscono già. È’ in via santa Maria in via, a
pochi metri da palazzo Chigi, ed è la stessa sala stampa dove fu presentato il
“Decreto salva Italia” – quello dei tagli e delle tasse – al termine del
Consiglio dei ministri che ha approvato la manovra anti-crisi. Ed è la stessa
sala che in questo breve lasso di vita del governo tecnico ha battezzato
il ministero mediatico e lacrimale di Elsa
Fornero, all’annuncio dei tagli sulle pensioni, con il blocco della
rivalutazione biennale e l’innalzamento dell’età pensionabile con il passaggio
al contributivo. Come impone il rito politica spettacolo, dunque (anche quando
è uno spettacolo drammatico è pur sempre spettacolo), la severa scrivania
rettorile, con le sue tinte forti e scure, e le sue sfumature di marrone da
tribunale gesuitico, si sostituisce definitivamente agli affreschi
neorinascimentali, ai colonnati , agli ori bizantini e i cieli azzurrini
del culto berlusconiano. Ogni tempo ha la sua lingua.
È, dunque, una scelta di discontinuità non
casuale quella di Monti e del suo staff. Un modo visivamente intuitivo per
voltare pagina. Negli ultimi diciassette anni di governo, infatti sia Romano Prodi che il leader del Pdl
avevano alternato – per il loro rendiconto – lo splendido scenario di Villa Madama e il complesso monumentale di San
Michele a Ripa: il chiostro sobrio del refettorio trasteverino, o il clima
incantato del gioiello delle residenze diplomatiche.
Proprio lì, un anno fa, rispondendo a una domanda ficcante posta
da un collega di una agenzia (“Cosa pensa della politica internazionale?”)
Berlusconi cesellò (di sicuro senza averne consapevolezza), ma senza dubbio
attraversato da promozione profetica, il proprio epitaffio politico, componendo
questo leggendario affresco geopolitico e antropologico: “Ho portato in dote
all’Italia la mia diplomazia privata. E posso vantare di avere tre grandi amici
personali fra i capi di stato del mediterraneo: Mubarak, Gheddafi e Ben
Alì!”.
Micidiale. In meno di sei mesi due dei citati erano deposti, uno
ammalato cronico l’altro latitante. In altri due mesi il terzo veniva
brutalmente assassinato dopo quarant’anni di governo ininterrotto . Prima
della fine dell’anno, per fortuna in modo incruento, e come per obbedire a una
invisibile legge di simmetria – simul stabunt simul cadent - si era dovuto
dimettere anche lui. Da una lato le rivolte popolari in piazza, dall’altro le
sconfitte amministrative e referendarie (e il colpo di grazia delle spread).
Questo per dire quanto erano importanti quelle parole scandite
davanti a una platea di spettatori italiani catodica e planetaria.
Per anni Berlusconi aveva cercato di ritualizzare e modellare a
propria immagine e somiglianza, anche iconograficamente, questa cerimonia: nel
tentativo quasi palese di metterla in competizione ideale con il sermone di
fine anno del presidente della Repubblica.
Aveva costruito un logo ovale che prima non esisteva, contornato
con le stelle della repubblica ma non la ruota dentata, forse troppo laburista
(quella di cui Francesco Cossiga diceva: “Sembra il simbolo della Ddr!”).
Il Cavaliere aveva disposto l’apparato delle bandiere in modo
gemello con l’addobbo quirinalizio. E poi – avendo sempre in testa dei format
televisivi - aveva tentato di trasformare il botta e risposta in uno show.
Un talk show monologante, ma pur sempre un talk show.
Nel 2008 aveva parlato per cinquanta minuti, annunciando una
riforma della giustizia epocale di cui – per fortuna – non c’è traccia nei
codici (leggi ad personam a parte). Forse anche per questo Monti parlerà in
introduzione per 10-15 minuti al massimo,
poi inizieranno le domande. Dipenderà dalla sinteticità dei primi botta e
risposta il numero delle richieste che sarà soddisfatto nei circa novanta
minuti messi a disposizione della stampa da palazzo Chigi, da inizio a chiusura
dell’evento. Una nuova lingua, senza dubbio: molto sobria, sicuramente, a
tratti feroce, ma del tutto diversa. L’anno scorso Berlusconi aveva sforato di
un’ora il tempo prefissato. Il limite rigoroso annunciato da Palazzo Chigi
è confortante. Se non altro in questo campo i tagli agli sprechi diventano
realtà producendo effetti positivi.
Nessun commento:
Posta un commento