Forti della garanzia
statale investono sui Bot 3 mesi per riforme, che non si potranno negoziare
di Stefano Feltri
Se Mario Monti fosse
scaramantico – e non lo è – potrebbe vedere nei dati di ieri sui Bot il segno
che la “fase 2”
del suo governo, quella che ha la crescita per obiettivo, sta nascendo sotto
una buona stella. Ieri il ministero del Tesoro ha venduto in asta 9 miliardi di euro di Bot con scadenza a
sei mesi al tasso del 3,25 per cento, molto più basso rispetto al 6,5
dell’asta precedente, con un bel risparmio per lo Stato. Ma Monti è un
economista che conosce le logiche dei mercati finanziari. E se ieri avesse
parlato con qualche operatore che lavora con i titoli di debito pubblico
avrebbe ricevuto il seguente commento: “È ovvio, non poteva andare
diversamente. I Bot non sono un indicatore, il vero test è quello di oggi con
l’asta dei Btp”.
TRADUZIONE: nella manovra di Natale il governo
ha concesso la garanzia statale alle passività delle banche di nuova emissione.
Queste ne hanno subito approfittato, hanno creato 40 miliardi di obbligazioni
e, senza neanche collocarle davvero, le hanno portate alla Bce da cui hanno
avuto 116 miliardi a un tasso inferiore al 2 per cento per tre anni.
Visto che i banchieri eccedono con la prudenza e, in
mancanza di alternative, continuano a parcheggiare i capitali disponibili sui
conti della Bce che rendono solo lo 0,25, non stupisce nessuno che oggi ne
abbiano messi un po’ in Bot: tra sei
mesi li riavranno con un margine netto di profitto superiore all’uno per cento.
Un gioco facile e senza rischi. Si prestano soldi allo Stato, grazie alla garanzia
dello Stato, e si intascano gli interessi, pagati con i tagli di spesa e le
nuove tasse.
Oggi il discorso sarà diverso: i Btp hanno scadenza a dieci anni
e le banche possono contare sullo scudo pubblico solo per tre, è facile
scommessa che all’asta di oggi ci sarà meno ottimismo e i tassi resteranno vicini
a quelli che si praticano sul mercato secondario, dove si scambiano i titoli
già in circolazione. E sul mercato dei Btp le cose vanno male come al solito:
anche ieri lo spread, cioè la misura della differenza tra i rendimenti dei titoli
italiani a dieci anni e gli omologhi tedeschi, è rimasto sopra il cinque
per cento. Che può significare tassi di interesse pesanti alle aste, sopra il
sette per cento.
DIFFICILE che bastino gli annunci di oggi di
Monti a cambiare la situazione. La misura più concreta per agire sui Btp il
governo l’ha già varata in sordina, è nelle linee guida del debito pubblico
2012 pubblicate dal ministero del Tesoro: dal prossimo anno alcuni titoli
verranno venduti direttamente ai risparmiatori (retail, in gergo), saltando la
mediazione delle aste. È un modo per limitare le oscillazioni, tenendo in
patria il nuovo debito e gli interessi che ne derivano. L’efficacia si vedrà,
intanto Monti deve lanciare il suo programma per la crescita, nella
conferenza stampa di fine anno che terrà oggi a Roma. Ieri ha riunito il
Consiglio dei ministri per discutere con la squadra i toni e i contenuti del
discorso di oggi. Trapela poco sui contenuti, i ministri sono fedeli alla
consegna del silenzio e lasciano la scena al premier. “Metodologica e
visionaria”, così uno di loro definisce la riunione di ieri.
LA LINEA che Monti ha comunicato è la
seguente: il decreto “Salva Italia”, la manovra lacrime e sangue, erano
necessarie per tappare le falle lasciate nei conti da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Pagata quella cambiale, in cui
comunque ci sono già diverse misure per la crescita (dalle agevolazioni fiscali
alle imprese agli incentivi per assumere giovani e donne), da ora parte la cura
Monti per la crescita. Della riforma del lavoro (con annesso tabù dell’articolo
18) si parla ormai poco, sulle liberalizzazioni non si può rischiare una
seconda sconfitta. Nei tre mesi che mancano alla presentazione alla Commissione
europea a Bruxelles del PNR, il Piano
Nazionale di Riforme, ci saranno riforme che non richiedono negoziati
troppo lunghi. A cominciare da quelle già avviate, come quella del catasto e
una serie di interventi sulla spesa pubblica. Da settimane si parla poi di un
fondo che raccolga le proprietà immobiliari dello Stato da dismettere e che,
con una complessa architettura finanziaria, riesca a far sparire dal bilancio
un po’ di debito pubblico. Oggi si capirà se queste indiscrezioni sono fondate.
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