L’Italia sta comprando
131 caccia bocciati da Pentagono e Canada
di Daniele Martini
Il supermoderno, super-tecnologico, supersofisticato e
supercostoso cacciabombardiere F35 Joint
Strike Fighter non funziona come dovrebbe. Non lo dice qualche prevenuto
contestatore del progetto o qualche pacifista oltranzista. Lo scrive il Pentagono in una nota interna di cui ha dato
notizia l’agenzia Afp e che il Fatto ha potuto consultare.
È un bel guaio che ci riguarda da vicino. L’F35 non è solo il
più gigantesco e caro programma attualmente avviato dalla Difesa Usa capofila
di un gruppo di paesi, con un valore stimato di 385 miliardi di dollari. Anche
l’Italia è direttamente interessata alle sorti di quel velivolo perché
partecipa alla sua realizzazione, anche se in misura modesta e soprattutto
sta per acquistarne la bellezza di 131 esemplari con una spesa
preventivata eccezionale: oltre 15 miliardi di euro fino al 2026.
SENZA CONTARE gli elevatissimi costi di
esercizio. Secondo il sito Altreconomia che riporta i risultati di uno studio
dell’ufficio di analisi economiche dal Parlamento canadese, tra manutenzione e gestione ogni F35 costa nell’arco di vita
preventivato la bellezza di 450 milioni di dollari. Che moltiplicato per il numero di
aerei che l’Italia vorrebbe acquistare fa un po’ meno di 60 miliardi di dollari, 45 miliardi di euro.
Il fatto che oltretutto l’aereo prodotto dalla Lockheed Martin
non funzioni al meglio e che quindi siano necessari aggiustamenti per farlo
volare in sicurezza e con le migliori prestazioni comporta inevitabilmente
un perfezionamento dei progetti e dei programmi di produzione e implica un
aggravio di costi. Di quanto, al momento è impossibile dire, ma i difetti
indicati dalla commissione di studio messa al lavoro dal dipartimento della
Difesa Usa non sono per niente marginali e questo fa supporre che i cambiamenti
necessari in corso d’opera possano risultare seri e assai cari. Ovvio che
questi costi suppletivi finiscano per incidere sul prezzo finale del
cacciabombardiere. L’Italia potrebbe quindi trovarsi di fronte alla sgradevole
situazione di dover sborsare altri soldi oltre quelli previsti, per di più in
una fase in cui ai cittadini il governo sta chiedendo sacrifici durissimi. Dal
momento che la decisione definitiva sull’F35 non è stata ancora presa, che il
governo è cambiato, che c’è un nuovo ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola e il contratto di
acquisto non è stato ancora perfezionato, questa potrebbe essere l’occasione
per un ripensamento complessivo. Anche perché, indipendentemente dai costi
rilevanti, molti nutrono seri dubbi sull’opportunità per la Difesa italiana di
dotarsi di un’arma del genere, con caratteristiche non in linea con il nostro
modello militare difensivo.
IL PROGETTO dell’F35 sembra nato sotto una
cattiva stella. Sono anni che va avanti tra problemi tecnici a ripetizione, ritardi
rispetto ai tempi programmati e aggravi di spesa continui. All’inizio il costo
di ogni velivolo era stato preventivato in 80 milioni di dollari, ma prima
ancora che sia pienamente avviata la produzione è salito di almeno 50 milioni
calcolando il costo medio delle tre tipologie di velivolo programmate. La nota
del Dipartimento americano della Difesa è il risultato di un lavoro di studio
affidato a una “piccola squadra”, avviato il 28 ottobre e terminato nei
giorni scorsi. Ufficialmente si chiama Quick Look Review, cioè esame veloce, ma
in realtà è un rapporto assai dettagliato di 55 pagine, compresi numerosi
grafici e tabelle. La conclusione è sorprendente perché i tecnici raccomandano
un “riesame serio dell’organizzazione della produzione”. La nota mette in
evidenza numerosi difetti tra i quali le vibrazioni e gli scossoni constatati
durante i voli di prova che comporterebbero problemi non da poco per
l’affaticamento eccessivo dei piloti. Tra i vizi individuati ne emergono
cinque, tra i quali il più significativo appare quello del meccanismo di
aggancio della coda nella versione C che non consentirebbe di eseguire
atterraggi sulle portaerei. Tutti gli otto test di atterraggio eseguiti
sarebbero falliti.
Per gli F35, l’Italia ha già speso circa 2
miliardi e mezzo di euro. Quasi 2 miliardi per lo sviluppo del progetto e il
conseguente passaggio alla fase industriale, più 600 milioni per l’ampliamento
e l’ammodernamento dello stabilimento di Cameri in provincia di Novara. In quei
capannoni l’Alenia della Finmeccanica produrrà l’ala sinistra del
cacciabombardiere e assemblerà quella parte di velivoli destinati all’Europa e
non prodotti direttamente dalla Lockheed Martin negli Stati Uniti.
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