È LA CIFRA CALCOLATA
DALLA CORTE DEI CONTI: SOLDI CHE NON SONO MAI STATI INCASSATI
di Ferruccio Sansa
Ottantanove miliardi
e mezzo di euro.
È la somma che, secondo la Procura della
Corte dei conti, le concessionarie delle slot machine devono ai Monopoli,
quindi allo Stato, per non aver rispettato la convenzione da loro stesse
firmata. Avete letto bene, miliardi, con nove zeri. Quasi quattro volte la
manovra del governo Monti. Se entrassero in cassa, non ci sarebbe
più bisogno dei tagli alle pensioni, delle tasse sulla casa, di niente.
L’Italia uscirebbe dalla crisi, senza chiedere un euro ai cittadini.
Già, ma il condizionale è d’obbligo. Tutti con
il fiato sospeso: l’ultima udienza della Corte dei conti è del 23 novembre
scorso, entro un mese potrebbe arrivare la sentenza che l’Italia aspetta da
quattro anni. Da quando lo scandalo finì sul Secolo XIX e l’Espresso.
La
battaglia sarà dura.
Primo, perché i magistrati devono districarsi in un mare di ricorsi e controricorsi delle
concessionarie, devono navigare tra norme
e clausole di cui sono disseminate le convenzioni. Ma non solo: le
manovre per spianare il cammino delle potentissime concessionarie sono state
tante. Con lo Stato che non pare essersi battuto a sangue per ottenere il
massimo risarcimento e riempire le sue casse esangui. Invece gli amici delle
slot hanno contatti nel mondo politico: a cominciare da quella che fu An,
proprio con i finiani. Amedeo Laboccetta, ex plenipotenziario di Fini a
Napoli era amministratore di Atlantis Group of Companies Nv (oggi è in
Parlamento, vicino a Berlusconi e giura di non avere più niente a che fare con
le slot). Non è comunque l’unico. Per non dire del convitato di pietra, la criminalità organizzata che ha scommesso sulle slot. Cosa
Nostra, ma anche la camorra. Anzi, proprio intorno al gioco legale, secondo gli
inquirenti napoletani, si sarebbe saldata un’alleanza che va dai Casalesi a
Palermo. Il motivo è semplice: alla malavita ogni apparecchio può rendere oltre
diecimila euro al giorno.
MA TORNIAMO alla nostra storia: è il 2006
quando il Gat-Nucleo Speciale Frodi
Telematiche della Finanza prende in mano la pratica. E comincia un’indagine
capillare seguita dal procuratore Marco
Smiroldo, giudice ragazzino tanto mite quanto tenace che a 35 anni si trova
a fronteggiare le multinazionali del settore. Gli uomini della Finanza passano
al setaccio ogni singolo apparecchio e scoprono che decine di
migliaia di slot machine non sono collegate alla rete che registra le
giocate.
Addirittura in un locale di Riposto (Catania) risultano depositate 26.858 slot
in 50 metri
quadrati . Quando gli agenti tentano una stima del denaro
dovuto allo Stato non credono ai loro occhi: si sfiorano i 90 miliardi. Il
calcolo si basa sulle penali previste dalla concessione firmata da Monopoli e
concessionari: in caso di mancato collegamento delle macchinette è previsto un
tot per ora per il mancato versamento del prelievo legato al gioco. Una
questione matematica.
Intanto lavora anche una commissione di
esperti guidata da Alfiero Grandi (Pd), sottosegretario all’Economia del
governo Prodi. Un tipo tosto. Con lui il generale delle Finanza Castore Palmerini. L’inchiesta produce
un documento bomba. Ma in tanti sono interessati a disinnescarla .
Il lavoro della Commissione, del Gat e
della Corte dei conti finisce, però, sui giornali. E l’opinione pubblica si scatena:
migliaia di lettere arrivano a Palazzo Chigi. Romano Prodi promette: “Non ci
sarà un colpo di spugna” (Silvio Berlusconi ha taciuto sulla vicenda). La
Procura inizialmente parla di penali per 31 miliardi e 390 milioni per il
concessionario Atlantis World. Poi Cogetech con 9 miliardi e 394 milioni, Snai
con 8 miliardi e 176 milioni, Lottomatica con 7 miliardi e 690 milioni, Hbg con
7 miliardi e 82 milioni, Cirsa con 7 miliardi e 51 milioni, Codere con 6
miliardi e 853 milioni, Sisal con 4 miliardi e 459 milioni, Gmatica con 3 miliardi
e 167 milioni e infine Gamenet con 2 miliardi e 873 milioni. In totale, 89,5
miliardi.
LA BATTAGLIA, però, è soltanto all’inizio.
Lontano dai riflettori gli uomini delle slot muovono le loro pedine. Le concessionarie ricorrono al Tar e al
Consiglio di Stato; i Monopoli dello Stato, che sarebbero
la controparte, non presentano nemmeno una carta. Tocca poi alle audizioni
parlamentari per rinegoziare la convenzione. Dagli atti parlamentari
dell’audizione di Giorgio Tino (l’allora numero uno dei Monopoli cui la
Corte dei conti ha chiesto 1,3 miliardi di danni) emergono le posizioni degli
onorevoli. Gianfranco Conte (Forza Italia) disse: “Chi è esperto del settore si
è accorto della stupidità della Commissione (gli esperti che denunciarono lo
scandalo, ndr)”. Insomma, la politica non usa il pugno di ferro con le
concessionarie. Così si arriva a stabilire nuove penali, ridotte a meno di un
centesimo: da 50 a
0,5 euro l’ora per ogni apparecchio non collegato. Con una sorpresa: “C’è chi
sostiene che la nuova disciplina debba valere anche per il passato. Mai vista
una cosa simile, di solito vale la convenzione in vigore al momento
dell’inadempienza”, sostiene un esperto del settore che resta anonimo.
La parola quindi alla commissione tecnica Oriani-Monorchio che dovrebbe indicare come vada
interpretata la convenzione. Infine i magistrati della Corte dei conti chiedono
una consulenza della Digit (Ente
nazionale per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione). A ogni
passaggio il conto si assottiglia: prima si scende a 840 milioni. Un centesimo
del calcolo della Procura. Poi si applica la nuova convenzione a 70 milioni.
Meno di un millesimo. Si mette l’accento sul ruolo dei Monopoli nel pasticciaccio
delle slot, si alleggeriscono le responsabilità dei concessionari. Fino
all’udienza 23 novembre scorso. Con Smiroldo che ripete la richiesta: 89
miliardi. In subordine 2,7 miliardi (comunque un decimo della manovra) oppure,
appunto, 840 milioni. Ma le concessionarie sperano che alla fine il conto sia
un altro: zero euro.
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