di Bruno Tinti
Qualche tempo fa sono stato invitato a una trasmissione
televisiva: roba forte, tv a diffusione nazionale. Aereo, macchina con autista,
aereo per il ritorno, tutto pagato. Un sacco di soldi, spesi – si capisce –
dalla tv.
Mi avevano chiesto
di parlare dell’evasione fiscale e io ci ero andato volentieri. I miei lettori sanno che è un tema
che mi appassiona.
Ho aspettato dietro le quinte, la trasmissione era già iniziata.
Mi hanno microfonato e perfino truccato. Intanto sfilavano gli “ospiti”, gente
come me, cinque minuti e via. Facevano a tempo a dire quattro cose in croce,
banalità.
Ho cominciato a preoccuparmi, mi ero preparato una “scaletta”.
L’argomento era complicato, mi servivano almeno 15 minuti per
far capire “chi, come, quando, perché”; che è l’abc dell’informazione.
Alla fine mi hanno fatto entrare ma è partito subito un
“servizio”: immagini di repertorio, macchine della GdF, portoni di un ufficio
del Fisco.
Poi è toccato a me. Ho fatto in tempo a dire che l’evasione
fiscale è una brutta cosa, che è incostituzionale perché viola i principi di
solidarietà e contribuzione allo Stato, che gli evasori sono tanti perché il
sistema è costruito per non funzionare. Poi ho provato ad aggiungere che chi
evadeva era il popolo dell’Iva perché lavoratori dipendenti e pensionati
non.... “Grazie, adesso pubblicità”. cinque minuti ed ero fuori. Tanti
ringraziamenti e accompagnamento all’aeroporto.
Mi sono molto arrabbiato: avevo
fatto la figura del cretino e chi mi ascoltava non aveva capito niente.
Tempo (mio) e soldi (loro) buttati dalla finestra.
Passa qualche giorno e un’altra tv, sempre a diffusione
nazionale, mi invita; argomento: evasione fiscale. “Sì ma.... non è che mi fate
parlare cinque minuti e ciao”. “Bè no, cinque minuti no”. Mi insospettisco.
“Non mi fate lo scherzo di farmi venire fino a Roma per cinque minuti di
banalità. L’argomento è complicato”. “Ma no, vedrà...” Decido di andare.
Il giorno prima della trasmissione una gentile signora mi
telefona: “Guardi, hanno deciso di non farla venire, hanno cambiato programma.
Poi sa, lei aveva detto che non voleva parlare solo cinque minuti e ci sono
tanti ospiti...”
Ringrazio di cuore, l’idea di un’altra comparsata mi faceva
annodare lo stomaco.
Adesso mi chiedo: non c’è dubbio che cinque o sei ospiti che si
interrompono, litigano e si parlano addosso non sono in grado di far capire a
chi li ascolta nemmeno il concetto più elementare. Se poi ci si mettono i
“servizi” e la pubblicità il tutto diventa un Grande Fratello spostato
sull’intellettuale.
Alla fine è come una partita di calcio: la squadra del cuore ha
sempre ragione. E non sono quelle quattro cose mal dette da ospiti volenterosi
(e, certe volte, da gente andata lì apposta per impedire agli altri di dirle)
che faranno cambiare idea a qualcuno.
Allora perché tutti
insistono con questi talk show demenziali? Perché non chiamare due o tre
esperti (non di più), farli parlare 15 minuti per uno (chiudendo il microfono a
chi disturba) e mandare la pubblicità tra uno e l’altro? Perché non dare
un’informazione semplice ma completa?
La risposta è ovvia: perché la rissa fa audience, share o come
diavolo si chiama. Ecco perché troviamo dappertutto Santanché, Larussa,
Gasparri, Storace, Castelli e altri dello stesso tipo: perché lo spettacolo è assicurato.
Tanti guardano la trasmissione, se non capiscono niente pazienza. Questa però
non è informazione. È spettacolo; e nemmeno tanto divertente.
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