giovedì 29 dicembre 2011

La televisione del futuro è tutta da inventare




di Chiara Paolin
   Angelo Guglielmi, con modestia, dice che oggi neanche i professori hanno più la verità in tasca. Non ce l’ha Mario Monti, che guida l’Italia nei marosi dello spread, e non ce l’ha Guglielmi, padre ispiratore della cosiddetta Tivù dei Professori, quella che rivoluzionò la Rai tra gli anni Ottanta e Novanta.
   Carlo Freccero invoca il ritorno della tivù pensata per permettere a tutti la comprensione del terremoto in atto. Che ne dice?
   Guardi, non so se sia una buona idea buttare in faccia alla gente tutta la verità. Le previsioni degli economisti più seri sono semplicemente spaventose.
   Un neopedagogismo del video servirebbe a tradurre certi messaggi?
   Quello di cui avremmo davvero bisogno è un raffreddamento totale della comunicazione. Finora si è sfruttato soprattutto l’impatto emotivo per arrivare alle persone, ma questo è un metodo che non funziona nei momenti di crisi strutturale.
   Propone la glaciazione dell’informazione?
   È’ difficile pensare a un sistema coerente. Le risposte secche, il sì e il no, non bastano. Non si possono mandare semplicemente in video gli economisti coi loro numeri: risulterebbero incomprensibili e deprimenti. Non si può nemmeno avviare una fase consolatoria, dove chi sta in tivù consiglia calma e pazienza, la reazione sarebbe ostile e rabbiosa.
   Nel frattempo bisogna mandare avanti il servizio pubblico...
   Ma o si va avanti così, per inerzia, mantenendo il clima di incertezza nelle scelte editoriali in parallelo allo smarrimento sociale, oppure i singoli si assumono le proprie responsabilità operando scelte coraggiose.
   Ha qualche idea da suggerire?
   Serve un rovesciamento totale della prospettiva, occorre inventarsi un nuovo linguaggio capace di coinvolgere e spiegare anziché aggirare lo spettatore. Un’estetica diversa, che nessuno ha ancora chiara.
   Certo un anno fa eravamo al bunga bunga, oggi al taglio delle pensioni. Un cambio troppo violento?
   Abbiamo pensato che una volta eliminato il mostro si potesse cambiare scena. In realtà ciò che è rimasto in eredità è perfino più mostruoso, le macerie che Berlusconi ha contribuito ad ammassare sono oggi il vero incubo che lo stesso Monti sembra aver sottovalutato. Ammettere palesemente questo quadro è una responsabilità cui si sta tentando di sfuggire.
   Nessuno spiraglio?
   La proposta di Santoro, nel suo piccolo, è un miracolo e una speranza. Dimostrare che è possibile in Italia raggiungere l’autonomia tecnica e politica fuori dai grandi network non era affatto scontato. Perché Sky ha dato un piccolo sostegno, ma la rete delle emittenti locali e soprattutto del web non era mai stata messa alla prova. Tutto quello che si muove via internet mi sembra vicino al futuro.
   Servizio Pubblico è un esperimento di resistenza, in ogni caso...
   Ma indicativo della strada da seguire. Credo lo stesso Santoro abbia ben presente il problema: il contenitore adesso ce l’ha, deve mettere a punto alcuni contenuti, cercare soluzioni più efficaci per raccontare un presente che sfugge.
   La tivù resta una costruzione di mondi. Se tutto il mondo noto sta sparendo ci vuole un senso quasi magico per crearne di nuovi...
   È così. Oggi impera il buio, l’incertezza. Immaginare una luce, una strada alternativa, è un esercizio di straordinaria velleità. Chi si fa avanti? Chi vuole davvero cambiare le regole del gioco? Voi del Fatto ci avete provato, e il risultato non è affatto male. Però siete piccoli, e per la Rai o gli altri giganti della comunicazione il discorso è tragicamente distante. Per la Rai temo, soprattutto: un organismo enorme, sottoposto a forze conflittuali, esposto a infiniti elementi di pressione. Come fa a cambiar pelle senza restarci secca?

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