Scontro tra Camusso e
Fornero sull’articolo 18 Marcegaglia: “Non è un tabù”. Bersani aspetta Natale
di Stefano Caselli
Le buone premesse, visti i precedenti, c’erano tutte e Susanna Camusso lo aveva detto chiaramente: “Un rapporto più conflittuale di
quello con Sacconi penso sia impossibile. C’era un’ostilità preconcetta, spero
si volti pagina”. Il segretario della Cgil salutava così la nomina di Elsa Fornero a ministro del Welfare
“serissima competente del settore, scelta secondo un criterio di competenza e
professionalità sicuramente utile, vista la stagione che ci attende”. Era il 16
novembre, poco più di un mese fa. Sembra un secolo.
ERA DIFFICILE immaginare uno scontro frontale,
eppure è ciò che sta accadendo. E la sintonia tra Camusso e Fornero scricchiola
perfino sul piano della solidarietà di genere. Tutta colpa della riforma delle
pensioni e, soprattutto, di quell’apertura alla modifica dell’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori fatta dal ministro al Corriere della Sera: “Non ci sono
totem, invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e
aperte”. Il segretario della Cgil affida allo stesso quotidiano una risposta
insolitamente aspra: “C’è un livello di aggressione nei confronti dei
lavoratori che fatto da una donna stupisce molto”.
Il ministro, dopo il celebre pianto che le
impedì di pronunciare la parola “sacrifici”, questa volta trova subito le
parole: “Sono dispiaciuta e sorpresa - dichiara - per un linguaggio che pensavo
appartenesse al passato del quale non possiamo certo andare orgogliosi. E anche
per una personalizzazione dell’attacco che non fa merito a chi lo ha condotto” .
Al ministro, al di là dell’accusa di
“aggredire i lavoratori”, non devono essere piaciute alcune espressioni della
Camusso, tipo “Fornero non tiri in ballo a sproposito Lama (citato a proposito
della necessità di ridiscutere l’articolo 18, ndr) perché lei ha fatto
esattamente una riforma contro i suoi figli, anzi i suoi nipoti”, oppure
“Scenda dalla cattedra, si rende conto che c’è gente che si fa un mazzo così e
non può farselo più nemmeno a 66 anni? Mica sono tutti banchieri”, o ancora (a
proposito dell’idea di un contratto unico per i giovani senza la tutela
integrale dell’articolo 18) “Sarebbe un nuovo apartheid”.
SULLO SFONDO, ecco ricomparire nelle parole
della Fornero “il passato di cui non possiamo andare fieri”, l’eterna clava
della violenza e degli Anni 70, agitata ad ogni sirena di scontro sociale. Un
“passato” con cui entrambe, tuttavia, hanno poco o nulla da spartire. Non certo
la professoressa Fornero, ma nemmeno la sindacalista Camusso. Le storie delle
due donne sono infatti meno distanti di quanto si potrebbe immaginare. E
si incrociano nel Canavese, fiera terra di mezzo a nordovest di Torino.
Il ministro, classe 1948, viene da San Carlo Canavese, padre
operaio e studi di ragioneria che rivendica come una fortuna: “Fossi stata
ricca sarei andata al liceo classico e poi a Lettere, e ora sarei un’insegnante
di scuola media, magari arrabbiata per come vanno le cose”. Prima di diventare
ministro è stata vicepresidente della Compagnia prima e del Consiglio di
Sorveglianza di Intesa Sanpaolo dopo. Una donna di potere, ma di quel potere
molto azionista (o “sobrio” come va di moda dire oggi) tipicamente torinese.
Susanna Camusso, nata a Milano nel 1955, ha vissuto molti
anni nell’Ivrea di Adriano Olivetti, prima di rientrare oltre Ticino e
dedicarsi al sindacato. Prima nella Fiom, poi nella Cgil, ma iscritta al Psi
(“mai stata craxiana - tiene a precisare - Ero della sinistra”). Chi le conosce
entrambe parla di donne puntigliose, severe, metodiche, secchione,
qualcuno azzarda perfino un benevolo “rompiballe”.
LE PREMESSE perché andassero d’accordo c’erano
tutte. Ma oggi Camusso si sentirà forse più vicina ad Emma Marcegaglia (“Non c’è nessun attacco da parte di Confindustria
ai sindacati in materia di mercato del lavoro - dichiara il numero uno di viale dell’Astronomia
- ma la riforma va affrontata”); oppure al leader della Cisl Raffaele Bonanni
(Mi dispiace che il ministro reagisca in questo modo: ad essere preoccupati
siamo noi”) tornato improvvisamente sullo stesso fronte.
Quanto alle sponde politiche, ci pensa Bersani
a tentare di anestetizzare il tutto. Una necessità per lui visto che anche il
Pd è diviso: “Ora facciamoci il Natale - commenta il segretario del Pd- E
lasciamo stare l’articolo 18. Sul lavoro si può ragionare con calma, facciamolo
senza patemi”.
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