di Nanni Delbecchi
Non ci sono più i principi azzurri di una
volta. Quelli di Carolina Invernizio non ti sfioravano nemmeno con un dito,
quelli di Pitigrilli al massimo ti facevano l’occhiolino; questi di oggi,
invece, ti fulminano con uno sguardo che ti rimane addosso per tutta la notte,
come si apre l’ascensore ti spingono contro il muro, fanno l’amore da dio,
spaziano dal bondage alla partouze, più che principi sembrano pornostar
azzurre. Con quali risultati? Dal punto di vista commerciale, ottimi. Anche Le
prime luci del mattino, come gli altri romanzi di Fabio Volo, sbanca le
classifiche nonostante una scrittura puerile, una raffica di cliché e un
soggetto non dei più originali: calcoliamo però che nemmeno le Madame Bovary
sono quelle di una volta, ora sono metropolitane, in carriera e ovviamente
multitasking. Infatti anche dal punto di vista esistenziale i risultati ci
sono. La Bovary multitasking, quando avrà capito che non era solo una questione
di sesso – come se il sesso fosse solo una questione di sesso – rinascerà dalle
ceneri e scoprirà quello che il matrimonio le aveva nascosto: “Ogni donna
dovrebbe incontrare un uomo che la prenda per mano e la guidi verso la propria
infimità”. Il principe-pornostar, presa l’indicazione alla lettera, se ne
va per la sua strada. Non come uno stronzo qualsiasi, ma come uno che ha
compiuto la sua missione, come se lo avesse mandato Emergency.
PERCHÉ alla fine siamo noi stessi il nostro
principe azzurro: “Nessuno ti cambia facendoti diventare una cosa che non sei.
Si cambia diventando una persona che si è già”. Ogni morale ha la sua favola,
direbbe Totò. Se liquidassimo qui Le prime luci del mattino, saremmo già
venuti incontro alla giusta richiesta dell’autore; di essere criticato per le
sue opere, non per chi è. Ma i romanzi di Volo (che sono allo stesso tempo
sceneggiature, interviste e conduzioni radiofoniche, e dunque sono tutto meno
che romanzi) hanno anche una valenza generazionale che spiega il loro
successo (enorme) al di là del loro valore (minimo), perché vi possiamo
osservare da vicino i tratti di tanti trenta-quarantenni di oggi. Uomini e
donne che vivono lo strano paradosso di avere la vita sentimentale come unico
orizzonte, ma di non saperla vivere; quarant’anni di solitudine. I rapporti
umani sono predatori e competitivi; ci si incontra, ci si scopa e ci si
scotenna a due per volta (non una scena di gruppo in 250 pagine), il sesso è il
feticcio perché è il massimo piacere, ma anche il vero potere, gli uomini
cercano sempre di portarsi a letto una donna e le donne sperano sempre di
sapersi tenere un uomo, ma ognuno resta sigillato nella monade del suo
narcisismo.
Tutto è monologo (ci sono due diari incrociati
perché un ombelico non basta, ce ne vogliono almeno due), e il resto è
silenzio. Tacciono i coniugi diventati fratello e sorella esattamente come gli
amanti modello attrazione fatale; e quando finalmente ci si parla è sempre
troppo tardi. In una sola cosa il Volo scrittore è davvero abile: nel
descrivere il peggio della sua generazione. Vanitosa, materiale e fredda;
sfruttata, frustrata e ambiziosa. La prima generazione venuta su senza
ideologie, ma anche senza nulla che le abbia sostituite, a parte i reality-show
televisivi e le scarpe alla moda. Una generazione che anche il principe azzurro
lo incontra allo specchio, scambia in buona fede – e dunque con maggior ferocia
– il proprio egoismo per l’indifferenza degli altri, e può scambiare perfino Le
prime luci del mattino per letteratura.
1 commento:
SONO TOTALMENTE D'ACCORDO CON DALBECCHI! SCHERZIAMO? QUELLA SAREBBE LETTERATURA?
Posta un commento