di Marco Travaglio
Per sua fortuna Giorgio Bocca era sedato da una settimana. Così sabato, l’ultimo
sabato della sua vita, gli è stata almeno risparmiata la lettura dei giornali
(“è la cosa più deprimente”, mi aveva confessato sconsolato l’anno scorso,
l’ultima volta che l’avevo intervistato per il Fatto). Già, perché i quotidiani
della vigilia di questo Natale andrebbero affissi nelle scuole di giornalismo, per
illustrare la crisi di identità di un mestiere un tempo glorioso che non sa più
quel che fa, né perché.
Natale in casa Cazzullo. Non contento del Leccone d’Oro 2011 honoris causa che si era aggiudicato con
l’intervista dell’antivigilia al cardinale Scola, la guardia svizzera Aldo Cazzullo scatta in fuga solitaria per vincere il premio anche
l’anno prossimo. E inaugura sul Corriere un nuovo genere giornalistico: l’editoriale-sermone. Roba che, al confronto, gli articoli dei tanti scrittori in
tonaca, dal cardinal Martini al priore Bianchi al vescovo Forte, sono
capolavori di laicità.
Titolo: “Più fiducia in noi stessi”. Svolgimento: “È il Natale
più difficile, forse più amaro degli ultimi anni... Eppure c’è un regalo che
tutti quanti noi possiamo farci, c’è un tesoro nascosto nel fondo della crisi
italiana. Non lo si trova nelle vetrine, non lo si può impacchettare, ma questo
non diminuisce il suo valore, anzi. È la fiducia in noi stessi, nell’immenso
potenziale di cultura, lavoro e sviluppo del nostro Paese. Che, com’è sempre
accaduto nei momenti difficili se non drammatici riesce a dare il meglio di
sé”.
Più che un giornalista, Cazzullo è motivatore, mental coach,
personal trainer della Nazione tutta. E s’immola come pennone umano a cui appendere la bandierina tricolore: “L’anno che si chiude
sarà forse ricordato come l’avvio di una nuova ricostruzione... I principali
partiti – bene o male – collaborano per uscire dall’emergenza”. Ma anche un po’ pompiere: “Il Paese s’è ritrovato unito, oltre le contrapposizioni
pregiudiziali”. E pure corazziere: “L’anniversario dei 150 anni è
stato un successo. Ci si è resi conto che davvero – come ci hanno insegnato
Ciampi e Napolitano – siamo più legati all’Italia di quanto amiamo riconoscere”. E psicoterapeuta: “È dentro di noi che dobbiamo
ritrovare la serenità e la fiducia di cui i nostri padri furono capaci”, perché
siamo pur sempre “il Paese simbolo della creatività, del design, della
fantasia, dell’arte, dell’estro, del gusto per il bello” (insomma un popolo di
santi, poeti, eroi e navigatori). E ambasciatore, anzi piazzista: “Pensiamo alla grande domanda di
Italia che c’è non soltanto nel resto d’Europa o in America, ma anche nel mondo
di domani: a quanti cinesi, indiani, brasiliani vorrebbero vestirsi come noi,
comprare i nostri prodotti, adottare il nostro stile di vita”.
Suvvia, basta andare in
Cina, in India, in Brasile, in America, per non parlare del resto d’Europa,
per venire assediati da nugoli di persone che fin dalla più tenera età ti
corrono incontro e ti implorano: “Ti prego, non resisto, voglio andare in
fallimento come l’Italia! Il mio sogno è uno spread a 515! Non vedo l’ora di
avere deputati come Dell’Utri e Scilipoti, ministri come Romano, sottosegretari
come Cosentino, presidenti del Senato come Schifani! Perché voi avete la
Cirami, la Cirielli, il lodo Alfano e noi no? E, già che ci siamo: non è che
m’insegneresti a vestirmi come Cazzullo?”.
Giorgio, in arte Dickens.
Non bastando la cazzullata, il Corriere raddoppia con due pagine
di intervista a Giorgio Napolitano,
sobriamente intitolate “L’orgoglio ritrovato di un grande Paese”. Anzi, più che
un’intervista, “il racconto nazionale del Presidente”.
Direttamente dal Colle, molto meglio del superato racconto
di Natale di Charles Dickens, ecco il “racconto nazionale” di Sir George,
pregno di trovate scoppiettanti e soprattutto sorprendenti: “L’arma vincente
della coesione sociale e nazionale”, “ce la faremo, usciremo dal tunnel”, il
“cemento unitario”, “una lezione secca per gli scettici”, uno “scatto di
dignità e orgoglio nazionale”, ma anche di “quella coesione e unità fra gli
italiani cui dobbiamo guardare come all’arma vincente per superare le sfide del
presente e del futuro”, insomma “un bisogno di riaffermazione di quel che
siamo, come grande nazione e come moderno Stato europeo”, “l’occasione per
far nuovamente sentire più forte il nostro ruolo in Europa e nel mondo”. È stato quando il Parlamento stabilì che Ruby è la nipote di
Mubarak, o più probabilmente quando il premier definì la Merkel “culona
inchiavabile”, o quasi certamente la settantesima volta che Bossi alzò il dito
medio e fece la pernacchia. Lezioni secche, riaffermazioni forti, cemento
unitario e soprattutto coeso. Prrr.
Cip,
Ciop e Napo orso capo
Cambio di vocale ed ecco un altro Dickens de
noantri, Roberto Napoletano, il prosperoso direttore del Sole 24 Ore, che firma uno
psichedelico Memorandum nell’inserto culturale del suo giornale. Titolo: “Piccoli
grandi valori in una manciata di noci”. “Non so se sia colpa della mia
testa...”, premette. Poi s’incarica di dimostrare che sì, dev’essere proprio
colpa della sua testa: “Certo è che mi viene prepotentemente in mente, in
questi giorni, una storia di uomini e donne che si lanciano secchi e muovono le
mani con gesti rituali e veloci tra un solco e l’altro pieno di noci e
nocciole...”. L’infermeria del Sole 24 Ore entra in
subbuglio, i sanitari cominciano a domandarsi quale fungo abbia leccato il
direttore. Che
intanto prosegue inarrestabile: “Ad ‘abbacchiare’ le noci o a raccogliere le
nocciole, le mani si spellano, si macchiano, diventano di una certa
maniera”. Ecco, di una certa maniera. “Un uomo sui 50 anni segue il gruppo con
una specie di scopa in mano. Ammassa le foglie che gli altri lasciano indietro.
C’è chi rimuove i sacchi, si solleva una nuvola, poi scompare, poi ritorna, poi
scompare”. Che il direttore abbia mangiato più
pesante del solito?
Ah no: “A questa scena ho assistito da ragazzo, di prima mattina, dal terrazzo
di casa mia, a Nola, in un settembre nuvoloso”. E non se n’è più riavuto. “La più anziana del gruppo
raccoglie una manciata di noci, alza lo sguardo e dirige gli occhi dalla mia
parte, dice che mi vuole fare un regalo e, incurante delle mie resistenze,
lancia sul terrazzo un pugno di noci”. Ecco svelato l’arcano:
una noce deve averlo colpito in piena fronte, riducendolo così come lo vediamo.
Ma senza purtroppo privarlo del dono della scrittura: “La mia favola di Natale è questa
piccola storia vera che ci parla, attraverso le noci che stanno oggi sulle
nostre tavole, di dignità del lavoro, della gioia del dono e di
quell’autenticità che sanno esprimere le persone e i gesti più semplici. Piccoli
e grandi valori di cui abbiamo terribilmente bisogno”. Lo portano via.
No
Martini no Christmas. Il povero cardinal Martini è da tempo malato di
Alzheimer, eppure non c’è verso che lo lascino in pace. Sabato, fra
rubriche della posta (sul Corriere), interviste (su La Stampa) e dialoghi con
Scalfari (Repubblica), era su tutti i giornali, praticamente a edicole
unificate. La Stampa tenta di trasformarlo in cappellano del governo tecnico, con
un’apposita domanda sul “valore della sobrietà” (del resto, titola in un’altra
pagina il quotidiano torinese, “Niente ferie per i ministri. Anche gli ex
contagiati dalla sobrietà”). Scalfari va a trovarlo fino a Gallarate per poi
molestarlo con domande del tipo: “Qualche volta penso che lei speri di
convertirmi... È questo che lei si propone?”. Martini, con un fil di voce: “No,
ma non posso escludere...”. Come dire: ma lo sa che lei è un bel tipo? Guardi
che ci è venuto lei, io me ne stavo tanto bene da solo...
Marketting. Scaricata la coscienza con qualche
geremiade contro il Natale consumistico e pagano, giornalisti gastronomi,
sommelier, stilisti, personal shopper e dog sitter si scatenano con paginate di
pubblicità camuffate da consigli per regali, viaggi e menu da cenone:
praticamente marchette. Memorabile Laura Pausini a Repubblica-agenzia Stikazzi:
“Lo shopping io lo faccio con un clic”. Strepitoso l’inserto del Corriere: dopo
due orrendi racconti di Tamaro e Piccolo, spiega che l’ideale è andarsene in
Lapponia “tra alci e paesaggi innevati”. Vacanza sobria a -30 gradi. Poi
due pagine sul panettone, un dotto intervento della psicoterapeuta su “Come
dire al bambino chi porta i pacchetti?”, un paginone di consigli per “le ultime
12 ore prima del cenone” a chi non ha una mazza da fare (“colazione, corsa,
spuntino, maschera al viso, pranzo leggero, passeggiata a bassa intensità,
bagno di relax, acconciatura”) e un altro, da non perdere, su “cosa dirsi a
tavola, ai brindisi o per gli auguri”. Già, cosa dirsi? “Sì ad alta cucina e
animali, no allo stile social network”. Per esempio “Veltroni sta leggendo un
altro libro sui gatti, Cleo, storia rasserenante di una gatta temperamentosa”.
Rasserenante soprattutto per gli elettori.
Marco
Travaglio
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